È da poco uscito Alone, il nuovo disco solista di Gianni Maroccolo.
Maroccolo è noto per aver iniziato la sua carriera come bassista dei Litfiba.
Ha collaborato inoltre come musicista, session man e produttore a numerose pietre miliari della musica italiana degli ultimi 30 anni, insieme a CCCP, Timoria, Marlene Kuntz e molti altri.
Un personaggio di spicco della musica italiana, al quale noi di Fotografie ROCK abbiamo posto qualche domanda.
FOTOGRAFIE ROCK: Credi alle ‘sliding doors’ nella vita? E Se è il nuovo singolo di Edda, a tal proposito ti chiedo: e se… quel giorno, di tanto tempo fa, al telefono, al posto di Federico Renzulli avesse risposto Federico Fiumani?
GIANNI MAROCCOLO: Mi sono aperto da tempo alla vita. Non ho aspettative nè rimpianti. Seguo il mio istinto e ho imparato a riconoscere i “segni” che seguo senza farmi domande e senza chiedermi come andrà a finire. Gli incontri speciali nella mia vita sono stati tanti. Ognuno di questi valeva la pena viverli intensamente. Sono stato fortunato ma ci ho messo del mio perchè ho sempre avuto ben chiaro ciò che non desideravo e ho accettato il resto come un dono.
FR: Alla fine degli anni ’70, quali sono state le influenze musicali, ed artistiche in generale, che ti hanno stimolato ad intraprendere la carriera musicale? E perché proprio il basso?
GM: In realtà ho iniziato a suonare molto prima. Avevo sei anni quando a casa arrivò un’acustica. Innamoramento a prima vista direi. Non facevo altro che ascoltare dischi e suonarci sopra. E ancora prima passavo nottate con un radiolina transistor nascosta sotto il cuscino ad ascoltare musica dei popoli. La musica mi ha scelto e io non mi sono opposto. Amavo e amo tutta la musica. Nessuna influenza specifica quindi, ma un ascolto senza pregiudizi a 360 gradi. Di tutto e di più e intorno ai 14 anni il desiderio di capire, di studiare cotanta meraviglia. Un pò di chitarra, armonia, per caso il basso, poi contrabbasso, fonologia e musica elettronica. Lo studio del suono oltre che delle note. Ricerca che non si è mai fermata.
FR: Quanto è stata importante per te la musica elettronica sperimentale teutonica degli anni ’70 e la new wave post punk britannica?
GM: L’elettronica tedesca è stata importantissima. Così come la musica “cosmica”; qualcosa che crea una sorta di imprinting di cui magari non mi sono reso conto ma che è presente in ogni momento, nonostante io faccia musica di ogni genere e tipo. Sulla new wave non so dire molto che non appaia banale… impossibile rimanere indifferenti ad artisti come Joy Division, Tuxedomoon, Residents e moltissimi altri, ma, e lo dico senza presunzione, non credo mai di essere stato condizionato dalla musica che mi circonda. Non so come dire, ma se per esempio, avessi conosciuto i Litfiba dieci anni prima o dopo, credo che a livello compositivo avremmo fatto gli stessi dischi di allora.
FR: Negli anni ’80, com’era la scena rock fiorentina?
GM: Tutto era diverso. In primis la città che in un attimo, a sorpresa, si trasforma in un megalaboratorio creativo in grado di coinvolgere cultura, costume e ogni forma d’arte. Nascono radio libere, teatri, locali per suonare, managers, etichette discografiche, studi di registrazione… ovunque musica da tutto il mondo, nuovi registi, nuove compagnie di arte contemporanea, stilisti di moda, arti grafiche, attori, comici… fino a quando è durato, è stato bellissimo.
FR: Riuscivi a vivere solamente di musica?
GM: Ho fatto il cuoco fino all’uscita di Desaparecido. Ma non era un problema per me. Credo di aver pensato che la musica potesse trasformarsi nel più bello dei mestieri quando ho lasciato i Litfiba. Volevo fare il marinaio e non desideravo certo diventare un musicista di professione. Anche qui non posso non pensare che sia stata la musica a scegliere per me.
FR: Gianni Maroccolo collabora con i Litfiba fino alla registrazione di Pirata. Poi cosa è successo? Cosa ha influito affinché tu non sentissi più tuo il progetto Litfiba? Nonostante questo, hai buoni rapporti con Piero Pelù e Ghigo Renzulli; siete tornati insieme in occasione del tour Trilogia 1983-1989.Qual è il disco, o la canzone, dei ‘tuoi’ Litfiba al quale sei più legato?
GM: Beh, senza alcun dubbio 17RE. Con gli altri siamo in buoni rapporti da sempre. Dopo tanti anni posso dire che tutto sommato con i Litfiba sia andata come era giusto che fosse. Non mi sentivo più a mio agio nel gruppo, non condividevo più la maggior parte delle scelte e credo che anche loro non mi sopportassero più… Tutto nasce, muore per poi rinascere.
FR: Come è cambiata la tendenza musicale negli anni ’90? Rispetto al decennio precedente.
GM: Non saprei. Negli anni 90 ho fondato insieme ad un manipolo di sognatori come me, il Consorzio Produttori Indipendenti (Cpi). Una factory o etichetta indipendente, che dir si voglia. Passavo tutto il mio tempo a lavorare per i nostri artisti e staccavo solo per suonare con i CSI. Sono stati anni volati via in un attimo. Bruciati a velocità supersonica.
FR: La scena elettro-rock pop italiana degli anni ’90. C’erano parecchi gruppi emergenti, e non, interessanti in quel periodo storico, ed un’attenzione particolare da parte del pubblico: in ordine sparso, Negrita, Ritmo Tribale, Bluvertigo, Diaframma, Litfiba, CSI, Marlene Kuntz, Subsonica, Timoria, Afterhours. Ti chiedo: come mai parecchi gruppi si sono persi? Il pubblico era troppo distratto dal rock internazionale?
GM: Non ne ho idea. Credo che molti siano stati spazzati via da un grande cambiamento (ancora in atto) che ha rimesso in discussione tutto e tutti. Alcuni si sono salvati alleggerendosi non poco a livello creativo, altri non hanno retto l’impatto, altri resistono ancora oggi in modo più che dignitoso.
FR: L’anno scorso abbiamo visto Piero Pelù al concerto dei Guns N’ Roses, lui è solito andare ai grandi concerti di band straniere. A te piace ancora andare a vedere i concerti? Se si, quali?
GM: Adoro andare ai concerti, ma ci vado sempre più di rado… non mi piacciono molto i grandi eventi che richiamano fiumane di persone e non riesco più a reggere quegli spazi dove i concerti iniziano (se va bene!) non prima delle 23. Sarà l’età, sarà che si cambia, ma il mio ideale di concerto è in un teatro o in alcuni spazi raccolti, dove si possa ascoltare musica a sedere, con un buon impianto audio e… inizio serata alle 21.30!
FR: Com’è il tuo rapporto con i social?
GM: Direi che è soddisfacente. I miei li curo personalmente dai tempi delle “bbs”. Al netto delle negatività, sono utilissimi sia per chi fa musica che per chi la ricerca.
FR: Sei un grande appassionato delle atmosfere industrial e jazz che può creare la musica in ogni sua forma, dei veri e propri trip: a tal proposito, ci vuoi parlare del tuo ultimo disco Alone?
GM: Beh, Alone è un viaggio della mente e dello spirito. Un mio viaggio che ovviamente spero di condividere con più persone possibili. La partenza è avvenuta il 17 dicembre… Destinazione ignota.
FR: Per molti la musica è passione, per altri è una religione. Secondo alcuni l’arte nasce dalla vita e mai il contrario. Tu come la vedi? È l’essere umano, al centro della sua esistenza, a determinare il percorso del suo talento attraverso la disciplina, oppure il talento, in quanto dono innato, è comunque subordinato ad un potere ultraterreno? (Nel bene o nel male, ovviamente).
GM: Credo sia il talento innato (non scegli tu, ma sei scelto) comunque subordinato ad un potere ultraterreno. Noi musicisti siamo antennne sensibili… riceviamo, trasformiamo in musica e diffondiamo.
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