Intervista a Tommaso dei KiwiBalboa

kiwibalboa.jpgAbbiamo scambiato due parole con Tommaso Dogliotti, voce della band genovese KiwiBalboa, da poco sotto l’ala della Overdub Recordings, per la quale uscirà prossimamente il disco Natale in Argentina.

Fotografie ROCK: Ciao Tommaso, iniziamo a parlare della band, di cui abbiamo recensito qualche giorno fa il nuovo singolo Cavalieri Jedi. Come mai avete scelto il nome KiwiBalboa?

Tommaso Dogliotti: È una domanda cui ci troviamo a rispondere spesso. A volte tiriamo fuori delle teorie bizzarre, ad esempio che l’abbiamo scelto perché è l’unione tra due parole strane e che creano contrasto, un po’ come la musica che facciamo, che non è di genere, ma vede la compresenza di più stili. La realtà è che come nome ci suonava bene.

FR: Come nasce, invece, il progetto musicale KiwiBalboa?

TD: Il progetto nasce nel 2014 in una location particolare, su delle colline sopra Genova, dove si trova un forte abbandonato risalente al ‘700. Negli anni ‘80, principalmente, la gente sfondava le porte delle stanze di questo forte, che venivano poi adibite a sala prove. Noi avevamo già lavorato lì, negli anni, a diversi progetti. Nel 2014 abbiamo occupato una stanza che si trovava nei bassi fondi, piuttosto messa male, e lì abbiamo iniziato ad “embrionalizzare” questo progetto, con una formazione diversa, ma sempre in trio, da cui poi è nato il nostro EP Tre Buoni Motivi, del 2016, che aveva dei toni molto più scuri rispetto a quello che facciamo adesso, forse proprio a causa della nebbia, dell’umidità e dell’oscurità nelle quali suonavamo. È da lì che è partito tutto.

FR: Effettivamente il vostro nuovo singolo, Cavalieri Jedi, si discosta molto dal “lato oscuro” di Tre Buoni Motivi. La Canzone da Tre Soldi, ad esempio, è in perfetto stile Queens of The Stone Age. Quali sono le vostre influenze musicali?

TD: Sicuramente ad oggi abbiamo tre background differenti, ma ciò che caratterizza i KiwiBalboa è proprio la mescolanza di vari generi. Quando il gruppo nacque, il nostro intento era quello di fare stoner. Personalmente credo di non avere una voce cattiva, ma sono piuttosto morbido nel cantare; il batterista dell’epoca, veniva dal mondo del reggae e dello ska; il bassista, invece, è sempre stato un amante del grunge, del metal e dello stoner, appunto. Dovemmo accantonare l’idea dello stoner e venne fuori un sound molto anni ‘90, con vene un po’ cantautorali, che è ciò che sento a me più vicino.

FR: Parlando di Natale in Argentina, la cui uscita è prevista per la fine dell’estate, ci hai già anticipato che avrà dei toni meno cupi, rispetto al vostro precedente lavoro, giusto?

TD: Natale in Argentina uscirà verso la fine di Settembre o al massimo per la prima metà di Ottobre. Avrà sicuramente un suono diverso, nel quale uscirà fuori la mia vena pop, che affonda le sue radici nel cantautorato italiano, ma allo stesso tempo manterrà qualcosa di quello che ci piace fare da sempre. Ci saranno distorsioni e ritmi incalzanti, ma verrà dato più risalto ai testi, che saranno supportati da melodie più fresche e leggere. Questo anche grazie all’arrivo del nostro nuovo e giovanissimo batterista, che viene da un ambiente completamente diverso, che è quello del rap e dell’hip hop. Ci ha svecchiati!

FR: Una bella ventata d’aria fresca.

TD: Sì e anche l’incontro con Davide Auteliano dei Ministri, ci ha aiutato parecchio in questo cambio di rotta, un cambiamento che stavamo già subendo, perché era proprio una nostra esigenza essere più chiari nei testi. Lui ci ha aiutati ad asciugare molte parti.

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FR: Qual è il messaggio di Cavalieri Jedi?

TD: Cavalieri Jedi è un pezzo un po’ agrodolce, che parla di un momento preciso della vita nel quale ci si sente bene, nonostante tutto il resto sia assurdo e incasinato.

FR: Quando dite “Ma quando arrivi tu“, parlate di un amore o di qualcos’altro?

TD: Sì, potrebbe essere anche un amore; sai che sta per succedere qualcosa di bello, ma sullo sfondo succedono tante altre cose di cui non t’importa nulla e vuoi concentrarti solo su questo momento felice, che sai che prima o poi arriverà.

FR: Un bel messaggio. Invece il titolo dell’album, Natale in Argentina, perché l’avete scelto? Ricorda un po’ i cinepanettoni.

TD: Natale in Argentina è anche il titolo di un pezzo del disco, l’ultimo che abbiamo inserito, ma il più vecchio che avevamo proposto a Davide. Questo pezzo ha avuto moltissime versioni diverse, ci piacevano tutte, ognuna aveva un arrangiamento con delle sue sfumature, ma alla fine la prima è stata quella vincente. Secondo Davide era quella che funzionava di più, perché era molto leggera e nel nostro stile. È pezzo con toni un po’ pulp, surf e un po’ malinconico. Il titolo Natale in Argentina prende spunto da una delusione d’amore, che caratterizza questo pezzo. Tempo fa, una persona ha scelto inaspettatamente di andarsene in Argentina. Si tratta di una storia passata, ma da lì è nato tutto il filone del disco, che ne ha preso il nome. Oltretutto, Natale in Argentina può rappresentare anche il nostro cambiamento, inteso come lo spostarsi in un luogo tutto nuovo, ancora da scoprire, che sarà poi il territorio musicale che andremo ad esplorare da qui in avanti.

FR: Vuoi dirci qualcosa anche sul videoclip?

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TD: Sì, dobbiamo ringraziare Serena Gargani che l’ha diretto, che è una bravissima regista ed anche la voce femminile degli Era Serenase, un gruppo rap di Genova. L’abbiamo scelta per rappresentare il nostro immaginario, perché ha, nel suo modo di lavorare, un tocco molto colorato e dinamico, molto giocoso. Ci piaceva cercare di rendere questo senso di confusione di cui parla il pezzo, non con toni cupi, ma con simpatia, prendendoci poco sul serio e uscendo dal cliché della band anni ‘90, che fa sguardi languidi in bianco e nero. Il video è girato con due inquadrature fisse, che sottolineano il senso dell’attesa. Ci troviamo davanti ad un ascensore, che è un po’ un topos di chi aspetta qualcosa, e da questo ascensore escono una serie di personaggi bizzarri, che fanno da sfondo al pezzo.

FR: Come mai avete scelto di inserire anche David Bowie, in questo testo?

TD: Prima di tutto, perché sono un suo grande fan. Quando scrissi questo pezzo, lui era morto da poco e mi sembrò giusto riconoscere la figura di David Bowie, inteso come uomo. Secondo me, dovremmo dimenticare a volte la figura dell’artista, smettendo di idealizzare i personaggi, che alla fine sono pur sempre uomini e possono fare anche delle cose brutte. In questo senso, mi sono permesso di fare questa critica al fatto che L’Uomo che Cade sulla Terra fosse un film per me noioso. Volevo ridare a Bowie una dimensione più terrena e meno iconica, con tutto il dovuto rispetto, ovviamente.

FR: Anche i grandi artisti possono creare qualcosa che a noi può non piacere. Guardando in maniera più ampia la cosa, come vedete la scena musicale italiana attuale?

TD: Personalmente, partendo da Genova, che è la realtà che vediamo più da vicino, sto notando che ci troviamo in un periodo in cui, paradossalmente, c’è tanta musica e tanta gente che fa musica, rispetto a qualche anno fa, quando era in voga la diatriba tra musicisti e dj. Oggi ci sono tanti ragazzi molto bravi che suonano, purtroppo però ci sono sempre meno spazi nei quali fare musica e tutto si concentra sempre e solo sull’utilizzo dei social, che sono l’unico strumento che abbiamo oggi per promuoverci. Secondo me, questo porta a due conseguenze: il fatto che ci sia un po’ meno qualità nella proposta musicale, ma allo stesso tempo più sperimentazione.

FR: Più sperimentazione perché, essendoci moltissime proposte, ognuno cerca di differenziarsi da quella degli altri, meno qualità forse perché l’accessibilità è immediata e viaggia tutto molto velocemente.

TD: Sì, è tutto più fruibile e più veloce, quindi qualcosa si perde per strada, nella tecnica o nel modo di tenere il palco, anche perché le occasioni per suonare dal vivo sono molte meno.

FR: Più fruibilità, ma anche più concorrenza.

TD: Molta più concorrenza, ma anche molta meno gente competente in materia e molta confusione su quelli che sono i ruoli, dai gestori dei locali alle etichette. Questa è un po’ la politica dei social network: se non funzioni, devi cambiare, rischiando di perdere di vista te stesso. Quindi ci vuole molto coraggio ad andare avanti per la propria strada.

FR: C’è il doversi omologare a certi standard per accontentare un bacino d’utenza che ormai si è assuefatto ai talent, ad esempio, o comunque a certe forme che sono artefatte.

TD: Sì e la vita reale è diversa. A me piace andare a sentire concerti, da sempre. Vedo che ci sono tante band che suonano del buon rock, però poca gente che ascolta e segue questo tipo di musica, quindi si fa sempre più fatica a trovare eventi interessanti e a proporre la propria musica in giro, perché al momento quello che va di moda è altro.

FR: Magari è soltanto un momento, le mode vanno e vengono.

TD: L’importante è fare musica non per soldi, ma per passione. Se c’è quella, si affrontano meglio anche le delusioni e magari si riesce, con il tempo, ad arrivare a dei buoni risultati.

FR: Prossime date dei KiwiBalboa?

TD: Suoneremo in Agosto al Rock in The Casbah, a Sanremo. Un festival davvero interessante, nel quale saremo gli headliner della prima serata. Poi ci sarà quasi sicuramente un tour invernale, in seguito all’uscita del disco.

FR: Grazie mille Tommaso, grazie ai KiwiBalboa ed in bocca al lupo per tutto.

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