The Cult: recensione di Electric

Recensione a cura di Andrea Musumeci

6 aprile 1987. I The Cult pubblicano Electric, album con il quale la band britannica riuscì unire sotto la stessa bandiera i darkettoni reduci dalla fine del punk e i rockettari da strada degli anni ’80.

Ian Astbury e Billy Duffy: un gallese cresciuto nel mito di Jim Morrison e profondo conoscitore della cultura degli Indiani d’America ed un ragazzo di Manchester che celava un’anima rocker anni ’70 dietro l’apparenza gothic punk dei primi anni ’80.

I The Cult sono stati affascinanti precursori-ispiratori dapprima di quel gothic rock nato sulle ceneri dell’ondata dark di fine anni ’70 e successivamente dello street rock portato alla ribalta mondiale da band come Guns N’ Roses con Appetite for Destruction, sebbene i fan della vecchia scuola metal apprezzeranno di più Sonic Temple del 1989.

Dopo l’inaspettato successo di Love, che è stato il disco gothic rock più venduto di tutti i tempi (più dei Cure della trilogia, dei Sisters of Mercy, dei Joy Division e dei Bauhaus), Ian e Billy si tolsero definitivamente vestiti e pose gotiche per indossare i panni che forse erano loro più congeniali, ossia quelli delle rockstar.

Nacque così, il 6 aprile del 1987, Electric, opera ricca di riferimenti sonori al rock anni ’70 di cui i due inglesi erano innamorati, vedi Led Zeppelin, AC/DC, Rolling Stones e Cream.

Con questo cambio di pelle, inoltre, Ian Astbury liberò finalmente quella carica da animale da palco che possedeva: riuscì ad estendere al meglio la sua voce calda e sensuale, sebbene i suoi atteggiamenti fossero fin troppo debitori nei confronti del Re Lucertola, suo idolo di gioventù.

Electric è un ottimo esempio di hard rock blues, di rock sanguigno ed energico: la opener Wild Flower, con il riff praticamente identico a quello di Angus Young in Rock and Roll Singer, Peace Dog che ricorda parecchio I Love Rock N’ Roll (brano del 1975 degli Arrows, ma portato al successo da Joan Jett nel 1981), Love Removal Machine, il cui riff è pressoché uguale a quello di Start Me Up dei Rolling Stones, mentre nel videoclip Ian Astbury somiglia allo zio di Jack Sparrow. Peccato solo per la terribile cover di Born To Be Wild degli Steppenwolf. Che poi, chissà com’è fatta una “Macchina di rimozione dell’amore”.

Nel 1987, quando gli altri si dividevano tra glamsters e thrashers, i The Cult e il noto produttore Rick Rubin riscoprivano l’energia dei grandi classici del rock blues anni ’70.

Electric è un album godereccio, uniforme, che scorre tutto di un fiato: insomma, rock garantito al 100%.

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