Destruction: recensione di Diabolical

Destruction

Diabolical

Napalm Records

8 aprile 2022

genere: thrash metal, speed metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Un mese e mezzo fa, quando i teutonici Destruction, con ben 14 album alle spalle e svariati stravolgimenti nella line-up, hanno dato alle stampe, via Napalm Records, il loro nuovo disco intitolato Diabolical, le premesse erano tutt’altro che rosee: via l’ultimo membro fondatore, la pubblicazione di un singolo dal sound troppo simile a quello del passato e una cover non particolarmente accattivante.

Ho ordinato il CD quasi per sfida: i Destruction sono da sempre fautori di un genere ruvido e senza fronzoli, un thrash veloce, totalmente riff-based, con una struttura compositiva convenzionale e poco incline sia alle variazioni di tempo che alla cura dell’arrangiamento vocale. L’impatto immediato è assicurato, ma c’è scarsa propensione al cambiamento, così il rischio di appiattimento è sempre dietro l’angolo. Infatti, salvo sporadici picchi qualitativi, gli ideatori del “mad butcher” rappresentano una di quelle band di buon livello, ma di cui è difficile ricordare più di quattro o cinque brani.

Nonostante l’ingresso di Eskic a completamento del reparto chitarre, anche l’ultima fatica in studio, Born to Perish, non si era sottratta al sopracitato canovaccio. L’abbandono del fondatore storico Mike Sifringer, insieme all’ingresso del nuovo chitarrista Martin Furia (già produttore e tecnico del suono della band), hanno aperto una finestra su un’inattesa ma necessaria ventata d’aria fresca.

La nuova formazione sembra aver giovato non poco a livello compositivo, alzando di conseguenza l’asticella qualitativa. Nulla di rivoluzionario, eppure il corposo richiamo al “german speed”, i cambi di tempo ammiccanti, l’evidente ricerca di melodia e la varietà della sessione ritmica conferiscono più mordente al prodotto. La ricerca dell’ultra-violenza, per quanto possa non trasparire dal primo istante, è stemperata rispetto ai lavori pregressi: il “macellaio pazzo”colpisce forte, e anziché limitarsi ai diretti, lavora ai fianchi, infila jab a ripetizione e stordisce lo stesso, ma con più classe.

Finirete ugualmente sul tavolo di macellazione, nessun dubbio è lecito, perché alle prime note di Diabolical, dopo il gustoso e sulfureo intro di Under The Spell, si viene trascinati nel tritacarne della titletrack – con quell’attacco “full eighties” a metà tra le cavalcate di Walls Of Jericho e i riff di Kill’Em All – e dei due brani successivi: potenza inaudita, doppio pedale incandescente, riff sontuosi che stendono al primo ascolto e assoli mozzafiato che aggiungono qualità ai singoli episodi, senza mai stancare.

L’ascia sembra quella di Kerry King dopo una settimana di clinic con Kai Hansen: talora richiama Skolnick (come in Repent The Sinner), talora un approccio più classicheggiante e power-thrash (come in No Faith in Humanity), ma con maggiore versatilità. Quello che non cambia, e che conferisce la necessaria riconoscibilità allo stile dei Destruction, è quella giusta dose di “farina integrale”, che si esprime soprattutto nel ritmo indemoniato, nell’architettura tradizionale delle canzoni e nella costante sovrapposizione tra chitarra ritmica e linee vocali. E poi cori, tanti cori, cori ovunque, mai fuori luogo, che generano un diffuso retrogusto vintage, ma anche la giusta enfasi, distribuita generosamente lungo tutta la tracklist.

L’effetto complessivo è quello di un lavoro organico, capace di introdurre novità rilevanti, gradevoli e facilmente individuabili, ma senza abdicare alla mission della band, che è proprio quello che riesce ad elevare un buon album al rango di ottima release. Andiamo avanti con quelli che dovrebbero essere i filler di Diabolical, soffermandoci sulla qualità nascosta tra le pieghe di quelle cosiddette tracce “intermedie” che, invece, vanno ad implementare la resa complessiva dell’opera: gli acuti di Schirmer, l’assolo di chitarra (un incrocio di Weikath e Holt) in Hope Dies Last, oppure il riff di The Last Of A Dying Breed, che esplode nella devastante pienezza del ritornello. Non riuscirete più a togliervelo dalla testa!

Dopo State Of Apathy, primo singolo dell’opera e poderosa tirata speed thrash fedelissima alla vocazione sonora del gruppo, si riparte con la tradizionalissima e cadenzata Tormented Soul, un thrash puro che mi piacerebbe ascoltare coverizzata dai Metallica, e Servant Of The Beast, l’episodio più power-speed dell’album, a metà tra Helloween e Judas Priest, dal ritmo forsennato e impreziosito da un assolo da capogiro.

Se credete che a questo punto ci si possa sedere sugli allori, affrettatevi a cambiare idea e preparatevi alle sorprese migliori, perché è tempo di rock! The Lonely Wolf vi scuoterà sia con il suo thrash & roll sia con un assolo di stampo hard rock; Ghost From The Past sembra una velocissima sonata dei Motörhead, mentre Whorefication è headbanging puro, tra il palm mute del riff portante e l’assolo condotto per metà in tapping.

Dopo una simile varietà di affondo, “the mad butcher” vi darà il colpo di grazia con l’ultima sorpresa: l’hardcore nudo e crudo di City Baby Attacked By Rats, che ho scoperto essere una cover del gruppo punk GBH. D’altronde, parte del genoma del thrash va ricercata proprio lì.

Non ho dubbi e mi sbilancio: i Destruction hanno sfornato il loro album più maturo e questo rischia di essere, in attesa di piacevoli smentite, il masterpiece thrash del 2022. Allora, siete pronti per la macellazione?

facebook.com/destruction

Tracklist:

01. Under The Spell
02. Diabolical
03. No Faith In Humanity
04. Repent Your Sins
05. Hope Dies Last
06. The Last Of A Dying Breed
07. State Of Apathy
08. Tormented Soul
09. Servant Of The Beast
10. The Lonely Wolf
11. Ghost From The Past
12. Whorefication
13. City Baby Attacked By Rats

Line-up:

Marcel Schirmer – voce, basso
Martin Furia – chitarra
Damir Eskić – chitarra
Randy Black – batteria

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