Flotsam and Jetsam
I Am The Weapon
AFM Records
13 settembre 2024
genere: speed metal, power-thrash
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Qual è il giusto modo per approcciare la quindicesima fatica discografica di una band storica? Per giunta fautrice del proprio genere musicale preferito? Bisogna riuscire a sgombrare il campo da preconcetti, distorsioni percettive legate al proprio stato d’animo ed evitare confronti con i loro album storici. Occorre, in sintesi, ripulire l’anima dal presente e dal passato.
Sfortuna vuole che i Flotsam and Jetsam siano la band unanimemente citata come la più sottovalutata del pianeta, il che racchiude già un ossimoro concettuale: se tutti ne riconoscono le qualità, come possono tutti sottostimarla? In realtà nessuno lo dice, ma quasi tutti si aspettano l’ennesima release degna di nota da poter esibire nella prossima discussione sui Big 4: “e allora quelli di Flotzilla dove li mettiamo? Si, dai, la band da cui i Metallica pescarono il sostituto di Cliff Burton…”.
Consiglio personale: simulate un malore o una chiamata allo smartphone, a questo punto del ragionamento, perché sta per partire il solito pippone su quanto facciano schifo i Metallica del dopo-Cliff e su quanto sia ingiusto che i Flotsam and Jetsam non li ricordi nessuno (ma quando mai?).
Altra sfiga pazzesca è tornare in studio subito dopo aver rilasciato (a mio personale giudizio) uno dei migliori album thrash degli ultimi anni. Questa sfortuna, però, se la son cercata loro: confermarsi sui livelli di un grande disco come Blood In The Water (per chi non lo avesse ancora fatto, correte a recuperarlo: è un clinic su come dovrebbe suonare il thrash quando contaminato con classe e ispirazione) è difficile per tutti e anche i Flotsam, con I Am The Weapon, non ci sono riusciti. Hanno fatto tutto ciò che andava fatto per non risultare ridondanti o inefficaci e sfornare un degno sequel: hanno cambiato direzione (I Am The Weapon é un album prettamente speed), hanno mostrato la solita perizia tecnica, trovato ispirazione nelle melodie vocali (fiore all’occhiello dell’opera, quasi sempre notevoli), messo insieme tutto sommato undici buoni, talora ottimi brani, in cui non trovi un vero e proprio filler.
Quello che ne viene fuori, è un LP molto differente dal precedente, pur sempre pienamente Flotsam and Jetsam, un metal tipicamente americano abbastanza ben concepito, veloce e potente… Eppure, la scintilla non è scoccata. L’impressione che, di mestiere, abbiano fatto di un disco sufficiente e un po’ piatto un buon prodotto di gradevole ascolto, fa capolino più di una volta dalle casse.
C’è penuria di assoli memorabili e sovrabbondanza di scale eseguite ad alta velocità sulla tastiera, manca una hit vera e propria (anche se la title track e, soprattutto, Burn My Bridges sono grandi composizioni) e la seconda parte del platter non rende la metà della prima, pur lasciandosi ascoltare. Dopo una mezza dozzina di giri nel lettore, la sensazione è quella di un po’ di amaro in bocca perché, dopo aver scartato una confezione (copertina) stupenda e aver divorato un primo strato di cioccolatini d’alta pasticceria, sotto si trovano una serie di b-sides (pur con qualche eccezione) e fatichi ad arrivare alla fine, soprattutto pensando alle tante uscite ancora in attesa di essere attenzionate.
Detto delle mie sensazioni personali, adesso tocca essere obiettivi: i Flotsam and Jetsam quando mai hanno rilasciato dischi brutti o deludenti? Mai nella vita! Hanno avuto qualche picco qualitativo (deceiver, storm, il già citato blood…) e qualche calo di tensione (come quasi tutte le band del genere) a metà carriera. Anche questo è un album piacevole, a tratti capace di esaltare, raramente di annoiare, ma senza tracce indimenticabili rischia di non lasciare traccia nella memoria del 2024 musicale.
A mio parere la qualità dell’album sarebbe lievitata, insieme al giudizio, se il ritmo fosse stato reso un po’ più vario, risultando quasi sempre di marca speed: infatti brani di tutt’altra matrice, come il blues distorto di Beneath The Shadows o il thrash duro e puro di Running Through The Fire colgono nel segno e sanno trascinare. Mi sarei aspettato di più negli assoli, come già accennato, viste le arcinote qualità artistiche della combo: sarebbero stati un valore aggiunto, come si intravede nella vagamente retró Primal o ancor più laddove scemano un po’ creatività e adrenalina (The Head Of The Snake).
Meno riusciti, a mio gusto personale, gli episodi un po’ più cupi e arricchiti con effetti “scary”: Gates Of Hell e la teatrale e vagamente “dickinsoniana” Black Wings, che io non avrei scelto come closing track. Peccato, perché l’intera release ha un tiro notevole fin dalla opener A New Kind Of Hero, anche ben arrangiata con quel riff tanto “Metallica 2.0”.
Le note lietissime, invece, vengono dalle chirurgiche bacchette di Ken Mary, chiaramente esaltate dalle galoppate ritmiche, e dalla superba voce di AK, che non scopriamo oggi ma che colpisce, prima ancora che per timbrica, tecnica ed estensione, soprattutto per la maestria compositiva: le melodie vocali hanno il potere di fare di un brano così così un’ottima traccia, in grado di incollarsi alla memoria, vedi il ritornello della già più articolata Cold Steel Lights o le strofe di Kings Of The Underworld.
Ecco che, forse, è proprio tra le insolite pieghe di un ossimoro che si cela la verità: i Flotsam and Jetsam hanno in carniere un vasto assortimento di bei dischi sempre su tassi qualitativi piuttosto elevati ma a cui sembra sempre mancare qualcosa e, appena sembrano imboccare la strada giusta per spiccare il volo, ne scelgono un’altra. In fondo, c’è una cosa che li accomuna a quei Metallica che da sempre ne ingombrano l’orizzonte: ogni loro pubblicazione sarà sempre sottovalutata, ma nessun thrasher se ne perderà mai una.
Tracklist:
1. A New Kind Of Hero 2. Primal 3. I Am The Weapon 4. Burned My Bridges 5. The Head Of The Snake 6. Beneath The Shadows 7. Gates of Hell 8. Cold Steel Lights 9. Kings Of The Underworld 10. Running Through the Fire 11. Black Wings
Lineup:
Eric “A.K.” Knutson – voce
Michael Gilbert – chitarra
Bill Bodily – basso
Steve Conley – chitarra
Ken Mary – batteria
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