Articolo a cura di Stefania Milani
Dove sono finiti i Darkness? Cosa sta succedendo alla band dei fratelli Hawkins?
Che l’elefante fosse nella stanza alcuni lo avevano percepito nell’ultimo anno e mezzo, con una linea comunicativa che più che eccentrica sembrava scivolare verso il trash, con nuovi tatuaggi in stile Fedez, social media che andavano perfino più in basso dei Ferragnez, post degni di Temptation Island, buoni per un pubblico ineducato, non certo per quello abituato ai Darkness, fino al picco dell’associazione con Taylor Swift agli US Open, durante i quali la popstar e il fidanzato giocatore di football hanno intonato sguaiatamente I Believe in a Thing Called Love nello sbandierato tentativo di assorbire l’attenzione e distrarre il nostro Sinner, il quale ovviamente non si è fatto toccare da questo atteggiamento adolescenziale e ha portato a casa una vittoria schiacciante.
Mentre la stampa oscurava la vera notizia sportiva, i social e i tabloid sono impazziti, dando alla band – e al siparietto che li riguardava indirettamente – una visibilità vuota di contenuti che poco ha reso in termini di sostanza.
Basta che se ne parli? Assolutamente no.
Soprattutto in quello che dovrebbe essere l’olimpo degli dei del rock, che non lascia spazio a contenuti commerciali e glitterati (li avete mai visti i Metallica o gli Iron Maiden andare a spasso con Taylor Swift?). Nulla contro un pop colorato, ma a ciascuno il suo, direbbe Leonardo Sciascia.
L’attesa montava per l’uscita del nuovo album del quartetto inglese, dato per il 2025, nell’aspettativa che fosse l’eclettica sintesi di un gioco di ispirazioni durato alcuni anni con contenuti importanti, resi nel loro stile leggero.
Nel mentre, è stato annunciato il nuovo singolo, The Longest Kiss.
Ci dispiace, ma dobbiamo dare voce a quelli di noi a cui è caduta la mandibola: melodia che richiama stancamente, vagamente i Queen (ma alcuni in Italia hanno avvertito anche l’Equipe 84) e che sembra più una minestra riscaldata per chi aveva nostalgia della Platinum Collection, senza particolari virtuosismi; così come il testo, un elenco paratattico di fatti personali privo di qualsiasi vera passione o coinvolgimento, nel pieno filone attuale degli influencer, che vogliono farci sapere tutto di loro, anche quando non ci interessa. Un accoppiamento, musica e testo, che sembra messo insieme ad hoc per l’orientamento commerciale al risultato, più che qualcosa di reale e genuino, culminando in quel ta da da dan finale tipico dello scolaro che si riduce a fare i compiti la sera prima di tornare a scuola e non sa bene come terminare il lavoro. Dobbiamo anche menzionare la cover dell’album, basica e posticcia, che sostituisce i precedenti lavori artistici di ottima fattura, peraltro Made in Italy.
Dov’è finito il Justin Hawkins che, da vera rockstar, criticava sarcasticamente il patinato mondo di Instagram?
Chi è che ha deciso per questa linea mediatica che sposa il filone della sovraesposizione da influencer, con una narrativa farsesca a cui non sembrano credere nemmeno loro, abbandonando i tradizionali temi anti sistema e di rottura che ci si aspetta dai veri rocker?
The Longest Kiss, particolarmente spinto in Italia, meno in Regno Unito, sembra voler competere con il livello di mercato attuale, vendendo un one way ticket to hell alla coerenza di chi orgogliosamente dichiarava che loro non avrebbero mai tradito la propria anima in nome delle tendenze.
Questo cambio di rotta è scaturito da una scelta della band o di qualche manager più attento alla forma che alla sostanza?
Quelli che inizialmente cadevano come indizi misteriosi e incomprensibili stanno ora componendo il puzzle di ciò che appare come un pacchetto plastificato e confezionato di musica, social media e vita privata diventata prodotto, il tutto venduto al marketing popolare, mentre si prendono le distanze dai fan più sofisticati e preparati: esclusione o consapevolezza di aver tradito se stessi?
Ai posteri l’ardua sentenza, dato che alle domande non giungono risposte, nella speranza che sia solo un incidente di percorso e che il resto dell’album risalga al livello che conosciamo e ritrovi la propria identità.
Non diremmo queste cose se non fossimo sicuri che il potenziale è estremamente più alto: i Darkness profetici di Easter is Cancelled sono ancora da qualche parte e ne siamo convinti.
Li aspettiamo a braccia aperte.
Nell’attesa, possiamo goderci il progetto laterale di Dan Hawkins con i Deep Fried Sunshine, Gold Transmissions, nel quale il tocco originale di marchio Hawkins si sente tutto, in un’autentica chicca rock fresca e beverina che regalerà buonumore nelle giornate invernali più uggiose.
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