GARAGEVENTINOVE: recensione de IL MALE BANALE

GarageVentiNove

Il Male Banale

Luglio 2018

Overdub Recordings

Genere: dark rock noise elettronico

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Il Male Banale è l’ultimo lavoro in studio dei GarageVentiNove, uscito nel 2018 per la Overdub Recordings.

I GarageVentiNove sono una indie-rock band storica dell’underground milanese e varesino, in attività dal 1991.

Nonostante la lunga militanza all’interno della scena alternative rock italiana, Il Male Banale è il primo LP della band di Brian K, fondatore e voce maschile del gruppo.

Il Male Banale, in parte, smussa la furia degli esordi giovanili (grunge/new wave/post punk) a favore di una scrittura più matura, più riflessiva, che si rifà alla canzone d’autore del maestro Battiato, che scava nell’Abisso tanto caro a Federico Fiumani, e che mescola in maniera armoniosa i diversi background dei componenti della band.

Un concept album che riprende il titolo dal libro di Hannah Arendt La Banalità del Male, come metafora della disattenzione che mettiamo nelle cose, che diventano foriere di cattive conseguenze, di ingiustizie, di dolori, provocati da persone mediocri e indifferenti, in una società che va a rotoli.

I 10 brani del disco sono stati concepiti proprio tendendo in considerazione questo concetto.

Il Male Banale trae ispirazione dal garage anni ’60 e poggia sui rumori di fondo della quotidianità, che, insieme all’elettronica, si diffondono nei 10 brani che alternano l’italiano all’inglese.

Hannah A, Labirinti Silenti, Guarda un pò più in là, Nervo Scoperto e Mari Gialli ci accompagnano in un mare di sonorità eterogenee e viscerali: partendo dalle atmosfere pre-siberiane dei Diaframma, passando per le influenze dei CSI e dei Massimo Volume, fino ad arrivare al noise di Pj Harvey e Nick Cave.

I GarageVentiNove ci descrivono il tema delle barriere mentali dell’uomo, dei suoi preconcetti nei confronti delle diversità, che vanno a boicottare il progresso culturale e sociale, come già cantava Ivano Fossati nel 1983, nel brano La musica che gira intorno.

In Unwise Gods spiccano le atmosfere dark ambient sulfuree dei Bauhaus e Cabaret Nocturne, in cui emerge il tema delle contraddizioni dell’uomo nell’era post-industriale: la ricerca del tutto, di falsi miti, per poi trovare il nulla, nella frustrante ed eterna ricerca di un equilibrio apollineo-dionisiaco, tra ordine ed infrazione.

L’acqua è l’elemento da cui tutto nasce, grembo e fonte della vita, nonché simbolo di eterna giovinezza, del peccato e della purificazione. Non è un caso la presenza di due canzoni, Ocean e Down the River, legate proprio al concetto di acqua come metafora esistenziale dell’individuo e delle sue esperienze legate al tempo.

Down the River ricalca le sonorità oscure dei Dead Can Dance e ci parla dell’importanza degli input che ci arrivano dall’esterno, come fiumi di energia o di spiritualità.

(Precipizio in) Clessidra ha un riff che ricorda vagamente quello di Lulluby dei The Cure ed affronta, come si può intuire dal titolo, il tema del tempo come metafora del rapporto con se stessi, in un presente sempre più inafferrabile.

Kali Yuga è l’ultimo brano dell’album. Il significato del titolo, secondo le dottrine dei cicli cosmici hindu, indica il periodo della dea Kali, l’ultimo periodo del giorno cosmico, la notte quando tutto finisce, ossia il rinnovamento che passa attraverso la distruzione, in un loop temporale e spirituale infinito.

La banalità del male non è altro che il male banale, ordinario, quotidiano, che passa quasi inosservato, che da tempo vive di relativismo assoluto, in una visione quasi orwelliana, tra luci e ombre, senza più riferimenti oggettivi, che oramai fa parte di ognuno di noi.

Formazione:

Brian K. – voce e tastiere

Patty S. – voce e tastiere

Ermanno Monterisi – chitarra

Ciccio Nicolamaria – batteria e tastiere

Claudio Fusato – basso

il male banale

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