Judiciary: recensione di Flesh+Blood

Judiciary

Flesh+Blood

Closed Casket Activities

10 marzo 2023

genere: crossover, groove metal, hardcore metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Se giudicare un album non è facile, descriverlo, talvolta, è un’impresa titanica: l’arte può essere qualcosa di molto complesso, articolato, variegato e, per quanto l’italiano sia la lingua più bella e ricca di sfumature, ci sono opere per le quali non esistono ancora le parole giuste.

C’è il cuore, c’è l’anima e c’è la tecnica, difficile condensare il tutto in un testo, soprattutto quando la ricchezza della proposta è così grande. Però, una cosa è certa: Flesh+Blood, ultimo prodotto discografico dei Judiciary, è un’opera d’arte sotto tutti i punti di vista, e mi perdonerete se a volte non sarò all’altezza, ma su questa definizione non transigo.

Parto dall’artwork perché è semplicemente stupendo, con gli schizzi di sangue e il bilanciere infuocato su sfondo marmoreo e freddo, a rendere perfettamente l’idea della doccia scozzese che ci aspetta infilando il CD nel lettore. A dispetto dell’etichetta non di primissimo piano, dietro la consolle troviamo uno staff tecnico di tutto rispetto: Arthur Rizk alla produzione (Power Trip, Cavalera Conspiracy) e al mix l’emergente Will Putney.

Campionamenti e synth dosati al momento giusto, bilanciamento sui bassi, spettacolare effettistica della chitarra solista ed ecco che il sodalizio sonoro complessivo diventa tanto cupo e fluido da valorizzare la verve creativa della band. Ma, se la confezione è importante, il contenuto è tutto: voglio subito dire che qui si trascendono limiti e confini, forgiando un nuovo paradigma di crossover, in cui la capacità di generare atmosfere e parlare direttamente al lato più oscuro dell’anima non conta meno di quel tradizionale “scavezzamento” di collo che rappresenta l’ossatura del genere.

Le due vocazioni dei texani Judiciary (ma quanto è bella la scena emergente texana?) sono sapientemente mescolate nella tracklist e cucite insieme da una maestria tecnica sontuosa, a tratti strabordante: da un lato, troviamo le armonizzazioni della parte ritmica (impressionanti, ad esempio, in Flesh, ma anche nei controtempi di Stare Into The Sun), in cui le accelerazioni si alternano a cadenze mid-tempo e groove sincopati, e dall’altro quelle corde soliste così evocative e liquide che fanno pensare a Vogg.

La perfetta convivenza di queste componenti crea un universo sonoro unico e suggestivo, dal vago sapore mediorientale, che rimanda ai racconti dell’arabo pazzo nel Necronomicon, o meglio ancora alle mistiche oscurità dell’antico Egitto, ove semidei antropomorfi attendono ghignanti le anime degli ascoltatori in un continuum straziante, come la voce urlata ma sapientemente arrangiata di Jake Collinson. Ad esempio, provate ad ascoltare la sulfurea opening track Flesh: praticamente un lungo e malefico preludio alla più groovy e immediata Blood. Un mini-concept dentro l’album.

Ciò che emerge inchioda alle cuffie e non ammette discussioni: sarà un’opera memorabile per chiunque opti per l’ascolto, grazie alle situazioni più atmosferiche, come la già citata Flesh, e agli echi slayeriani di Eschatos Hemera, in cui, con non poco stupore, ci imbattiamo nella versione “pulita” del vocalist. Non sarà da meno negli episodi più violenti, come nella stupenda Engulfed o nella trascinante Knife In The Dirt.

Immergetevi senza indugio nell’anthemico e più tradizionale mid-tempo di Paradigm Piercer (ormai “piercing the order” è il mio grido di battaglia stagionale), oppure nella hard-coreggiante Steel Hand God, oppure nella più canonica (ma con marchio sonoro ben riconoscibile e in vista) Cobalt, oppure in Obsidian dal finale rubato ai Sepultura. Non c’è scheggia sonora che non colga nel segno e non trafigga qualunque estasiato ascoltatore, ove in modo diretto, ove, invece, blandendolo con la mistica di una violenza controllata e di evocazioni esotiche e pagane, che potranno forse far storcere il naso ai puristi del genere e richiedere una decantazione rispetto al tipico “fast food” hardcore, ma che, degustato con calma, lascia soddisfatti i palati più raffinati.

Atipico e intrigante, organico ai limiti della compattezza di un monolite, ma venato di quarzi alieni al punto che ogni suo frammento non è mai uguale all’altro, Flesh+Blood, tanto per la durata complessiva quanto per il profondo link tra un episodio e l’altro, va gustato tutto d’un fiato come una strepitosa miniserie televisiva, al termine della quale non potrete fare a meno di augurarvi una prossima, nuova stagione. Segnatevi questo nome, perché non solo si candida tra i migliori lavori del 2023, ma promette epici furori futuri.

facebook/judiciary

Tracklist:

1. Flesh 2. Blood 3. Engulfed 4. Paradigm Piercer 5. Knife In The Dirt 6. Stare Into The Sun 7. Cobalt 8. Steel Hand God 9. Obsidian 10. Eschatos Hemera

Membri della band:

Jerel Ramirez basso
Austin Scott-Looney batteria
Israel Garza chitarra
Kyle Calfin chitarra
Jake Collinson voce

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