Metallica: recensione di Metallica

Metallica

Metallica

Elektra Records

12 agosto 1991

genere: heavy metal

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

12 agosto 1991. I Metallica pubblicano, l’eponimo disco, meglio conosciuto come Black Album, il quinto della loro carriera discografica, edito per Elektra Records e prodotto da Bob Rock.

Un’opera considerata, tutt’oggi, numeri alla mano, l’apice del loro successo commerciale (troppo commerciale?), ma che, in quel momento, i fan della vecchia guardia non presero affatto bene.

Il 1991 fu un anno particolare, caratterizzato da eventi e cambiamenti significativi: la guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam Hussein, l’Unione Sovietica venne divisa in una confederazione di stati indipendenti, Slovenia e Croazia ottennero l’indipendenza dalla Jugoslavia a seguito di una vera e propria guerra civile, mentre, sotto l’aspetto economico, si affacciava lo spettro della recessione e si allargava sempre di più la forbice tra il ceto sociale benestante e tutti gli altri.

Tornarono, dunque, minacciosi i temi della disoccupazione e dell’incertezza economica. In questo clima di nuova instabilità sociale, trovò terreno fertile la crescita e lo sviluppo della musica grunge. D’altra parte, negli anni Novanta, cos’altro avrebbe potuto raccontare o aggiungere il genere metal degli ’80?

La triste ironia è che all’inizio la distinzione tra grunge e metal non era assolutamente così chiara: la maggior parte dei metallari considerava i Nirvana, così come Soundgarden ed Alice In Chains, ecc., veri e propri gruppi metal. Probabilmente, perché l’unica musica più famosa proveniente da Seattle, fino a quel momento, era quella dei Queensryche.

Quella nuova scena musicale fu, di conseguenza, l’epitaffio di ogni rappresentazione del genere metal, tra cui il thrash metal classico. L’heavy metal, per sopravvivere, dovette prendere diverse strade, adeguandosi e contaminandosi con altri sottogeneri eterogenei. Che poi, fu quello che, successivamente, avvenne nel mondo degli affari tra diverse aziende pubbliche e private, ovvero “la politica delle fusioni”.

Tante band new wave e metal, negli anni ’80, avevano affrontato tematiche legate all’angoscia esistenziale, dalla perdita dei valori etici e religiosi alla crisi di identità dell’essere umano, normalmente a causa dell’incomprensione della società ostile.

Diciamo che il grunge, di suo, in merito a questo argomento, ha inventato ben poco. Al massimo, ha amplificato quel concetto di nichilismo già presente in alcune realtà del decennio precedente, ma con una prospettiva meno ribelle, più tendente al malessere della rassegnazione e all’autodistruzione. Basti pensare al drammatico epilogo di alcuni dei suoi massimi esponenti.

I Metallica, nel 1991, non furono da meno, tant’è che dedicarono un vero e proprio monumento sonoro a questo tema, proprio grazie a quello che volgarmente è stato definito come Black Album.

Già dall’artwork (outfit monocromatico di color nero, antitetico al concept grafico del White Album dei Beatles) si può intuire l’ispirazione oscura, cupa e funerea della band californiana, mentre in controluce si possono vedere il logo della band, in alto a sinistra, ed il serpente della bandiera di Gadsden in basso a destra. La bandiera di Gadsden ritrae non solo il serpente a sonagli, ma anche la scritta Don’t Tread On Me, che non a caso è anche una canzone presente nel Black Album. Le tre spire del serpente attorcigliato su sé stesso, viste allo specchio, formano il 666, numero biblico dell’Anticristo.

Del resto, il frontman James Hetfield non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti della religione, tant’è che invitava i suoi fan a non ascoltare le menzogne scoraggianti del “Dio che ha fallito” nel brano The God That Failed.

A metà degli anni ’90, tutte le band metallare, che avevano avuto successo negli anni ’80, finirono per “smetallizzarsi”, cioè modificarono la loro identità, adeguandola al business del nuovo decennio. Adeguarsi era l’unico modo per salvarsi dall’estinzione, per non fare la fine dei tirannosauri, e soprattutto per continuare a fare soldi.

Eppure non fu un cambiamento semplice, tant’è che la maggior parte delle band metal degli ’80 sparirono definitivamente. Non era semplice cambiare pelle completamente.

I Metallica furono uno dei pochi gruppi metal degli anni ’80 a ottenere una certa credibilità. Poi, a metà degli anni ’90, si erano completamente trasformati. Non erano più la macchina da guerra che avevamo conosciuto nella decade precedente: erano diventati una macchina da soldi ed avevano conquistato un bacino di utenti più vasto. Potremmo definirli gli “U2 dell’heavy metal”.

Da band estrema e apparentemente priva di umorismo, i Metallica sono arrivati a portare l’heavy metal nelle case di tutti, a prescindere dal ceto sociale, e a conquistare dischi d’oro a ripetizione, riuscendo a tenere concerti sold out ovunque.

Nonostante tutto, Black Album, seppur distante dal sound dei primi quattro lavori discografici, si presentava come un disco dal suono pesante, decadente, cupo e oscuro, cadenzato da ritmiche mid-tempo che scandivano maggiormente quel sentimento di sofferenza e precarietà.

Un album che racchiudeva una serie di riff e ritornelli più orecchiabili e facilmente memorizzabili rispetto al passato; vedi i brani Enter Sandman, Sad But True, l’arabeggiante Wherever I May Roam e le due power ballad pop metal, Nothing Else Matters e The Unforgiven.

Il Black Album era, dunque, il disco del mega-successo, l’heavy metal per tutti. Un po’ quello che accadde ai Def Leppard quando pubblicarono l’album Hysteria. Tutto questo pensiero può sembrare una sentenza, una mannaia sulla testa dei quattro Metallica (James Hetfield, Lars Ulrich, Jason Newsted e Kirk Hammet), ma non è affatto così.

Semmai va specificato che: se da una parte, come già spiegato sopra, si sono adeguati alla nuova domanda del mercato per non finire nel dimenticatoio, come accadde ad altre band famose, dall’altra c’è da considerare il fisiologico percorso di crescita di ogni singolo componente della band.

Alla fine, dovettero adeguarsi anche gli Anthrax, nel 1993, con Sound of White Noise ed i Megadeth dell’acerrimo nemico Dave Mustaine, nel 1992, con Countdown to Extinction; album decisamente più morbidi ed influenzati proprio dal Black Album dei Metallica e dal “nuovo modo” di fare heavy metal.

Del resto, un gruppo come i Metallica, che aveva alle spalle un decennio di successi, può anche decidere unilateralmente di cambiare direzione. Trasformazione che li porterà a proporre sonorità hard rock-country e sempre più pop, per la “gioia” dei fan di vecchia data.

Eraclito di Efeso disse: “Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo”.

Insomma, l’unica certezza in questo mondo è il cambiamento continuo: un po’ come dire, chi si ferma è perduto.

Una volta chiesi ad un amico: “Che ne pensi del Black Album dei Metallica?” Lui mi rispose: “Non ascolto musica pop”.

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