Ritmo Tribale: recensione di Mantra

Era il 1994.

Come già discusso recentemente, il suicidio di Kurt Cobain calò il sipario sul palco della musica grunge. Nonostante questo, il 1994 fu comunque un anno molto prolifico dal punto di vista discografico: grunge, crossover metal, rap/hip hop, revival punk rock radiofonico e revival brit rock.

Quando si parla degli anni ’90, viene sempre, inevitabilmente, un pò di nostalgia.

Nel 1994, Clinton regnava sovrano, l’Italia della politica era stata destabilizzata da Tangentopoli, avevamo la nazionale di pallavolo più forte di sempre ed il campionato di calcio più bello del mondo, internet era ancora un anticristo in fase embrionale, la gente comprava i dischi in ogni suo formato, leggevamo ancora le riviste rock, grazie alle quali conoscevamo gli artisti, i gruppi e i loro dischi, facevamo chilometri per noleggiare cd, per poi metterli su cassetta. Eh si, c’erano ancora le musicassette, sebbene il digitale avesse spodestato l’analogico nelle preferenze degli utenti.

Nonostante tutto, non stavamo poi così male, o forse non ci rendevamo ancora conto. Non immaginavamo che, da lì a poco, l’economia mondiale sarebbe caduta a picco sulle nostre teste.

Nel 1994, dopo lo scandalo Mani Pulite, pensavamo che finalmente il Paese sarebbe stato guidato da una nuova classe dirigente, lontana dalla logica mafiosa delle mazzette o del favoritismo. Due anni dopo scese in campo Berlusconi con Forza Italia, che in poco tempo riuscì a diventare Primo Ministro.

Nel frattempo ci stavamo adeguando ai tempi, che stavano diventando sempre più tecnologici, sempre più automatici. Stavamo iniziando ad entrare nell’ottica di dover convivere con l’aiuto delle macchine, dei software, in una nuova realtà sintetica, fatta di pixel, in cui eravamo, inconsapevolmente, cavie da laboratorio e vittime dell’evoluzione tecnologica dell’essere umano.

Negli anni ’90, la società stava cambiando: temeva le droghe più del diavolo.

Questo cambiamento, in parte, fu dovuto soprattutto al declino della spiritualità, e non solo, avvenuto negli anni ’80 e ’90, verso una società con una visione più agnostica, ma sicuramente più influenzabile e più in difficoltà nel distinguere ciò che era giusto da ciò che era sbagliato.

Gli anni ’90 sono stati, checchesenedica, un periodo d’oro per il rock italiano, un periodo molto fertile, anni in cui parecchi artisti italiani mostrarono l’urgenza di manifestare e raccontare il disagio giovanile, in maniera spirituale e dal punto di vista politico, nei confronti di una società sempre più alienante. Si tornò a scrivere canzoni con testi impegnati, dopo il meraviglioso bluff degli anni ’80.

Negli anni ’90, eravamo pieni di ottima musica rock italiana, ma eravamo troppo distratti dalle mode dei ‘forestieri’.

Il rock italiano dei ’90 rimase fedele a se stesso, ma non riscosse il successo che avrebbe meritato, tant’è che già alla fine del decennio fu ‘richiamato all’ordine’ e costretto a ritornare su binari più nazionalpopolari.

Detto questo, chi si ricorda dei Ritmo Tribale oggi? Probabilmente solo qualche nostalgico. Se si parla del rock italiano degli anni ’90, molti ricordano i Litfiba, Negrita, C.S.I., Vasco Rossi, Ligabue, Timoria, Subsonica, Extrema, Bluvertigo, Afterhours, Marlene Kuntz, ma è raro che qualcuno menzioni i Ritmo Tribale.

Nel 1994, la scena rock milanese riaccese le sue luci grazie al rock elettrico e funkeggiante dei Ritmo Tribale, che raggiunsero il successo con il disco ‘Mantra’: una meditazione sullo stato di perenne insoddisfazione della cosiddetta Generazione X, destinata ad illudersi, tra mille dubbi e mille domande senza risposta.

“Non eravamo identificabili, abbiamo sempre preso molto in giro questi giornalisti che si riempivano la bocca di aggettivi apparentemente difficili per nascondere una povertà di scrittura tremenda. Per me la poesia è semplicità. A loro piacevano molto di più gruppi come Massimo Volume o Marlene Kuntz con testi diversi, più colti e difficili. I nostri venivano letti in maniera superficiale”. Così dice Andrea Scaglia (vocalist e chitarrista della band), quando si parla del loro mancato successo. Un’occasione persa anche a causa di un atteggiamento di fedeltà nei confronti di una linea comune impopolare del gruppo, che col tempo ha sgretolato tutto il loro potenziale in quel momento.

Per il periodo, i Ritmo Tribale erano difficilmente catalogabili: per alcuni erano metal, per altri erano rock, hard rock, indie o underground.

L’esigenza di capire chi siamo divenne l’ossessione di dover dare un’etichetta a qualsiasi cosa o, ancor peggio, a chiunque. Quelli ‘bravi’ avevano definito il loro sound un po’ U2, un po’ Helmet, con un tappeto grunge.

Edda aveva conosciuto gli Hare Krishna già alla fine degli Ottanta, ma è solo nei testi di ‘Mantra’, si deduce già dal titolo stesso, che viene fuori tutto il suo misticismo ed il suo tormento, poi confluito nella tossicodipendenza, è successivamente con la fine della sua collaborazione con gli altri componenti della band.

‘Mantra’ è il primo disco del gruppo ad essere pubblicato per una major, la Polygram.

E qui, torniamo al solito e reiterato discorso di quanto conti l’aiuto di una casa discografica importante, e influente sul mercato, per uscire dalla dimensione underground da centro sociale Leoncavallo.

‘Mantra’ è un disco di contaminazione, che mescolava quel nuovo modo di fare rock, con riff duri (più vicino al sound degli Stone Temple Pilots, così, tanto per farci un’idea), a ritmiche funkeggianti, in stile Red Hot Chili Peppers, e sonorità blues, hard rock e punk anni ’70, il tutto legato dalla voce particolare, psicopatica e ammaliante di Edda.

Come abbiamo già detto, uno dei punti forti dell’album sono senza dubbio i testi di Edda: visionari, sognanti, amari, in cui affiora spesso l’insofferenza dell’autore nei confronti del mondo reale, dell’essere spesso incomprensi, accanto al desiderio di fuggire da tutto questo, proprio per non andare a fondo, rifugiandosi nel proprio mondo e nell’illusione temporanea delle droghe.

Edda racconta l’attaccamento ai propri sogni, troppo spesso insidiati dalle paure nostre e degli altri, e l’attaccamento morboso alla religione, come se fosse una ‘soluzione medica’ ai nostri drammi introspettivi quotidiani: un potere che non vedi, un mistero a cui credi. Un pò come cantava già qualche anno prima Kurt Cobain nella sua ‘Lithium’.

“Vorrei un corpo, Fatto di antimateria, Con dentro un cuore, Che si stacchi dalla terra”: una frase che riassume in maniera chiara il desiderio umano di uscire, ogni tanto, da ciò che è ordinario, per non finire rassegnati e condannati ad un destino segnato da altri. E allora a volte è così. Meglio non voler capire.

Quello che resta oggi è la voglia di dimostrare di essere diversi da come ci dipingono, il desiderio di essere se stessi, a prescindere dalle mode e dai giudizi. Un testo quanto mai attuale.

‘Mantra’ è un disco assolutamente da riscoprire, un tassello fondamentale nella produzione discografica del rock made in Italy.

Recentemente, i Ritmo Tribale hanno pubblicato due nuovi singoli, che sicuramente anticipano l’uscita del nuovo album. Seppur senza la ‘vena poetica’ di Edda, da ben 23 anni ormai, i Ritmo Tribale hanno comunque mantenuto, negli anni, un’identità rock schiva, ma con testi sempre attuali, che invitano spesso alla riflessione e all’interpretazione dei loro video.

“Un gruppo che ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato”. Del resto, quante volte l’abbiamo sentita questa frase.

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