The Hornets: recensione di Heavier Than A Stone

The Hornets

Heavier Than A Stone

Go Down Records

16 luglio 2021

genere: hard rock, blues, fuzz, rock n’roll, AOR, southern blues

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

La formazione emiliana The Hornets fa il suo esordio discografico con l’album Heavier Than A Stone, edito per l’etichetta italiana Go Down Records, la stessa dei romagnoli The Lu Silver String Band (non a caso, quest’estate il quartetto dei The Hornets ed i The Lu Silver String Band di Luca Donini divideranno lo stesso palco), e anticipato dall’uscita dei singoli Don’t Talk About Love, Female Creed e Superman (Nietzsche).

Nell’era di internet, in un mondo sempre più digitale e iperconnesso, è arrivata l’ora, per tutta quella schiera di reduci e nostalgici che hanno superato gli “anta”, di riabbracciare il loro passato hard rock e scatenarsi come facevano una volta, fregandosene delle mode discografiche del momento.

Heavier Than A Stone è una nostalgica e testarda retrospettiva del periodo d’oro del rock, che va dagli anni ’50 agli anni ’80; quello che per molti ha rappresentato la colonna sonora della propria adolescenza, quando il rock era ancora un genere popolare nella cultura di massa e riempiva le arene di tutto il mondo.

Quello dei The Hornets è un progetto stoicamente ancorato e fedele a quel territorio ricco di suoni rock & roll, rockabilly, sleaze rock, boogie rock, country folk e southern blues, che fa da collante materno tra i sapori balsamici e le atmosfere frizzantine della Val Padana e quel fuoco sciamanico e glamour che brucia attraverso solchi e scenari della mitologia rock anglofona.

Lo spartito dei The Hornets ruota intorno all’amperaggio spirituale del rock & roll grezzo, sporco, esplosivo, genuino e blueseggiante, spaziando tra riff catchy, bending estremi, power ballad da radio FM ed assoli pregni di effetti wah wah: un perimetro strumentale in cui le linee fresche e melodiche dell’AOR flirtano con quel piglio sfrontato e ruffiano dei Pearl Jam di Fixer, cucendosi addosso una godibile e spensierata semplicità espressiva, assieme all’attitudine coinvolgente delle performance dal vivo.

L’immaginario dei nove brani che vanno a comporre Heavier Than A Stone riesce a preservare quello scambio osmotico tra passato e presente seguendo la bussola amplificata del revival, cavalcando, da un lato, l’epicità degli interpreti che piantarono la bandiera del classic rock, e, dall’altro, bussando prepotentemente alla ruvida serranda del garage rock.

Anche se le cose non sono più così “easy” come ce le raccontavano i vecchi Guns nella seconda metà degli anni ’80, i The Hornets scelgono comunque la via dei fuochi d’artificio, del “ronzio dei plettri” (per dirla alla loro maniera) che scorrono sulle corde elettrificate delle loro Fender, riprendendo quell’hard rock graffiante, smieloso, corale, sensuale, sanguigno e festaiolo che ha come fonte d’ispirazione la cifra stilistica di realtà iconiche quali Thin Lizzy, Lynyrd Skynyrd, Kiss, AC/DC, Van Halen, Hanoi Rocks e Def Leppard.

In conclusione, la “The Hornets Experience”, quasi certamente, non potrà ridarci indietro gli anni in cui il rock era la soluzione a tutti i nostri problemi (o quantomeno provava a farlo), quando bastava avere i capelli lunghi e masticare chewing-gum per dissimulare ribellione, insolenza e pose da rockstar, ma almeno (nel suo adagiarsi su stereotipi anacronistici) può regalarci poco più di mezz’ora di riff pirotecnici, orecchiabili, contagiosi e sognanti, buoni per un altro viaggio a ritroso nella memoria e per provare a sfrenare la gambetta come ai vecchi tempi. Possibilmente, salvaguardando menischi e crociati.

https://www.facebook.com/thehornetsrockband/

Membri della band:

Giovanni Artioli: chitarra e voce

Alberto Francia: basso e voce

Stefano Francia: chitarra e voce

Andrea Rovituso: batteria

Tracklist:

1. Don’t Talk About Love

2. Female Creed

3. Superman (Nietzsche)

4. Get Out (Baby Get Out)

5. Fighting Man

6. The Best

7. 1997

8. Rockstar’s Syndrome

9. Not So Easy

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