Venom: Black Metal – 1 novembre 1982

1 Novembre 1982. I Venom pubblicano il loro secondo album, Black Metal. Quale miglior occasione della ricorrenza di Ognissanti.

Questo disco è considerato come uno degli album che hanno ispirato gli stili del metal estremo degli anni successivi, portando alla nascita di nuovi generi musicali, in particolare del black metal. Il disco presenta, infatti, come il precedente Welcome To Hell, i primi elementi di quei generi che sarebbero poi diventati noti come speed/thrash metal e black metal.

La copertina dell’album, realizzata da Cronos, cantante e bassista della band, mostra il volto di un demone, ma se si guarda più attentamente, si notano anche un pentacolo sulla sua fronte, una croce rovesciata sul corno di sinistra e la scritta 666 su quello di destra.

Ma nonostante ciò, i Venom non erano satanisti praticanti: lo stesso Cronos dichiarò che gli unici suoi interessi nell’ambito occulto erano nel Neo-paganesimo e nel Wicca.

“Quello che facciamo è esplicitamente anticristiano, quello che cantiamo è l’opposto di quello che la chiesa dice. Non stiamo realmente abbracciando il Satanismo, stiamo solamente scrivendo testi rock ‘n’roll anticristiani, testi che spaventerebbero solo gli ignoranti”.

Nemmeno un anno prima, i Venom avevano firmato un contratto per la Neat Records, con la quale avevano pubblicato il loro album d’esordio Welcome To Hell. Un opera in nero, un inno al diavolo, con un caprone intrappolato in un pentacolo per la copertina di questo caposaldo musicale, che fa da spartiacque con il resto delle produzioni metal prodotte sino ad allora.

I testi di Sons of Satan, Witching Hour e In League With Satan contengono parole mai pronunciate in una canzone sino ad allora. Dal punto di vista della composizione, poche canzoni dei Venom meritano alti riconoscimenti, tuttavia i loro primi tre album devono essere considerati dei classici del rock.

Rappresentano non solo l’avvisaglia, e in parte la prima attualizzazione dell’heavy metal che verrà (thrash, death, black), ma costituiscono già il lievito madre per le varianti future di questo genere di rock estremo.

Black Metal arriva in un momento storico in cui l’heavy metal, specialmente in Gran Bretagna, la patria dei Venom, era in grande ascesa: i Motörhead avevano spianato la strada al metallo pesante già nel 1979 con la pietra miliare Overkill, insieme ad altri due capolavori dello stesso periodo storico come The Number Of The Beast degli Iron Maiden e Screaming for Vengeance dei Judas Priest.

Anche Ozzy Osbourne si dava da fare con la sua carriera solista, a conferma del fatto che nei primissimi anni ‘80, il Regno Unito era ancora il laboratorio più importante dell’heavy metal.

Non lo sarà ancora per molto, poiché negli anni successivi quella fucina creativa, di quello che verrà chiamato thrash o speed metal, si sposterà oltreoceano, precisamente nella Bay Area di San Francisco, dove Metallica, Slayer e Megadeth prenderanno in mano la situazione, arrivando alla consacrazione del genere nel 1986.

Black Metal è un disco di neanche quaranta minuti, che si ascolta tutto d’un fiato. La traccia d’apertura, che dà o prende il nome dall’album, è forse il pezzo più bello di tutto il disco. Un album che non cala mai d’intensità e nel quale sentiamo ritmi incalzanti, tipici proprio dello speed, fatta eccezione per Buried Alive, un pezzo più black che thrash, giustamente più cupo e angosciante dato il titolo, che trasmette l’angoscia di chi sta per essere seppellito vivo.

Raise the Dead, Leave Me in Hell, Heaven’s On Fire (con un riff chitarra simile a quello di Ace of Spades), e Countess Bathory arricchiscono l’oscuro concept strumentale di quest’album.

Riflettevo sul fatto che, con tutta probabilità, i genitori che leggevano i titoli delle tracce di questo disco, nel 1982, non dovevano vedere proprio di buon occhio chi ascoltava questo genere. E mi sono chiesta chissà che faccia avrebbero fatto i miei, cattolici praticanti, se fossi tornata a casa con questo imprescindibile disco sottobraccio.

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