Giacomo Voli è noto ai più per essere arrivato secondo nella seconda edizione di The Voice of Italy. Ma quello è stato solo il suo trampolino di lancio che lo ha portato, dopo varie esperienze, a diventare il frontman dello storico gruppo power metal italiano Rhapsody of Fire. In questa intervista ci ha parlato delle sue esperienze passate e dei suoi progetti futuri.
FOTOGRAFIE ROCK: Ciao Giacomo, come stai?
GIACOMO VOLI: Un po’ intasato, ma abbastanza bene.
FR: Hai impegni a breve?
GV: Ho una masterclass il prossimo weekend, ma sono stato malato anche in tour, quindi…
FR: Come gestisci la voce in questi casi?
GV: Mi affido alla tecnica, cerco di parlare poco e di mangiare correttamente. Cerco di trattarmi bene, specialmente quando sto molto male.
FR: Abbiamo parlato tanto di rock italiano, ultimamente, con vari artisti e musicisti. Volevamo, quindi, cambiare strada e dedicarci un po’ al metal, di cui tu sei un portabandiera nel nostro paese e non solo. Per chi non lo sapesse, ricordiamo che hai partecipato a ‘The Voice of Italy’, in quella che è stata forse l’edizione più seguita del programma.
GV: Sì, probabilmente è stata l’edizione più seguita, per via di Suor Cristina. Probabilmente, se non fosse stato per lei, neanch’io sarei stato conosciuto in Argentina e in altri paesi del Sud America, luoghi dove lei è molto amata.
FR: Perché hai deciso di partecipare ad un talent show e come sei arrivato proprio a ‘The Voice’?
GV: Per quanto riguarda ‘The Voice’, ci sono due strade per poter accedere al programma. La prima è l’iscrizione tramite email, che non è però la fonte principale dalla quale vengono selezionati i talenti. Dobbiamo pensare che i talent sono un po’ come dei film, hanno una regia e una necessità di fare spettacolo, per cui è molto più facile, per la produzione, trovare i candidati tramite persone sparse per tutto il territorio nazionale, e non solo, che fanno da referenti, cercando nelle varie scuole di musica o nei locali quelli che possano essere personaggi validi per lo show. Per me è andata così.
FR: Sei stato contattato da un talent scout, praticamente.
GV: Più o meno. All’epoca insegnavo in una scuola di musica di Bologna, dove lavora Francesco Lombardo, che saluto, che mi disse di essere uno dei referenti del programma. Mi chiese se fossi interessato a partecipare ed io accettai a cuor leggero. Avevo seguito la prima edizione del programma, poiché facevo un lavoro che mi portava a stare parecchie ore in macchina, così mi capitava di ascoltare le repliche alla radio. Mi era sembrato un programma interessante. Col senno di poi, ho capito che, ahimè, il talent è rimasto l’unico modo per un artista di farsi conoscere. Tant’è che sono le stesse major a portare i ragazzi in televisione.
FR: Forse una seconda strada per fare successo al giorno d’oggi è rappresentata da YouTube.
GV: Sì, ma solo se hai tanto da investire. Il potere dei social è di tutti e perciò è di nessuno. Solo chi può investire, riesce ad ottenere dei risultati.
FR: Investire a livello economico, intendi?
GV: Sì, ormai i social lavorano sulle sponsorizzazioni. Puoi anche avere l’idea più valida del mondo ed essere talentuoso, ma sei una goccia nel mare e se non riesci a farti largo spintonando in qualche modo, non ce la farai mai. Poi, sicuramente, la qualità paga, ma ci sono molti progetti nei quali la qualità è mediocre ed è la sponsorizzazione ad essere forte. In questo equilibrio che si è creato al giorno d’oggi, i talent rimangono una piccola speranza per chi non ha niente.
FR: Un mezzo alla portata di tutti.
GV: Sì, con il rischio, poi, di trovarsi catapultati in un mondo in cui si hanno i riflettori puntati addosso, dove si entra nelle case degli italiani e di non riuscire a trovare un equilibrio nel capire cosa il talent rappresenti.
FR: Cosa rappresenta, secondo te?
GV: Nient’altro che pubblicità e visibilità. Va sfruttata per ciò che è. La qualità musicale va ricercata altrove. Anche se credo, nel mio caso, di essere stato abbastanza fortunato, perché mi permisero di tenere i capelli sciolti e di fare un repertorio più vicino al rock e al metal.
FR: Sì, solitamente, nei talent, i rocker vengono ammansiti. Si cerca sempre di far loro prendere strade diverse, più pop, più televisive. In questo sei stato aiutato dalle scelte artistiche del tuo coach, Piero Pelù?
GV: La mia fu una scelta quasi obbligata, penso che Piero fosse l’unico che poteva capirmi un po’. Stiamo sempre parlando di un gioco, la vita reale e musicale al di fuori sono un altra cosa, ma sicuramente all’interno di quel gioco Pelù era il personaggio che musicalmente si avvicinava di più a me. Un consiglio che mi sento sempre di dare a chi si accinge a fare un’audizione, di qualsiasi genere, è questo: dobbiamo essere noi, in primis, a credere in una possibile vittoria; siamo noi stessi i primi giudici da convincere. Perciò, sul palco, dobbiamo sempre portare ciò che siamo, ognuno con il proprio genere, senza doverci adattare alla situazione. La spontaneità e la naturalezza traspaiono quando cantiamo ciò che siamo. Non bisogna incominciare a fare congetture su cosa possa essere più adatto alla situazione, su quale possa essere la canzone del momento, perdendo il focus su noi stessi. La mia era una sfida strana: avevo portato i Led Zeppelin, gli Ac/Dc, i Deep Purple, i Queen, ero rimasto nel mio genere. Comunque, oltre alle scelte artistiche mie e di Pelù, la cosa buffa fu che ebbi anche il benestare della produzione olandese, che all’epoca aveva ancora una sorta di controllo sui vari ‘The Voice’ in Europa, in quanto inventori del format. Ci dissero che avrei potuto tranquillamente continuare a fare hard rock.
FR: Quindi la produzione olandese può addirittura influenzare le scelte artistiche?
GV: Sì, è un po’ come dire che la compagnia americana ‘Coca Cola’ fornisce delle direttive agli altri paesi nei quali viene venduto il prodotto e queste devono essere rispettate, soprattutto per quanto riguarda l’immagine.
FR: Potrebbe essere stata in parte questa la tua fortuna? Ovvero il fatto che ci sia più cultura musicale nei confronti di hard rock e metal nei paesi nord europei?
GV: Sicuramente è così nei paesi scandinavi, in particolar modo, dove non è strano trovare gruppi metal nei talent show. Ad esempio un mio amico, Paolo Ribaldini, ha partecipato a ‘The Voice of Finland’ e la sua coach era Tarja Turunen, la prima cantante dei Nightwish. Ha potuto cantare brani degli Iron Maiden, dei Sonata Arctica…
FR: Com’è stato lavorare con Piero Pelù?
GV: Sicuramente interessante, lui è uno che è stato sempre coerente nella propria vita e già quello è importante. Non è facile trovare delle persone che ti dicono quello che pensano, avendo soprattutto una vasta cultura musicale. Al di fuori del programma non abbiamo lavorato molto insieme, ho aperto tre date dei suoi concerti e nei mesi seguenti abbiamo pensato a come poter proporre il mio progetto, senza però trovare un punto d’incontro. Siamo comunque rimasti in buoni rapporti. La difficoltà nel proporre quello che faccio io stava proprio nel genere, al quale non avrei mai rinunciato anche nei brani in italiano.
FR: Alla fine ti sei autoprodotto.
GV: Sì, nella mia piccola esperienza in italiano ho fatto due lavori, il primo l’ho pagato di tasca mia, mentre per il secondo ho tentato la strada del ‘crowdfunding’, riuscendo a pubblicare il disco. Per adesso, credo che metterò in pausa per un po’ le produzioni in italiano. Purtroppo è un discorso difficile e sofferto, se non c’è chi crede in te ed è disposto ad un grosso investimento diventa quasi impossibile riuscire a sfondare con un progetto del genere, che non rispetta nessuno dei canoni pop. Ho la fortuna di avere chi mi sta aiutando , Giuseppe Martelli e Sasà Massarelli, per la produzione del singolo che avevo preparato per San Remo Giovani.
FR: Ne abbiamo parlato anche con altri artisti, ormai c’è un appiattimento musicale, un livellamento verso il basso, che non consente a chi non rientra in uno di quei due, tre generi in voga al momento, di riuscire ad emergere.
GV: Quello che intristisce e che porta un po’ a deprimersi è il fatto che la qualità musicale non sia più il focus centrale di una produzione discografica. Paolo Vallesi, riguardo questo discorso, ha detto che se arrivassero oggi Mogol e Battisti, probabilmente non se li filerebbe nessuno, perché purtroppo non importa tanto la qualità quanto l’immagine, in un’ottica di vendite.
FR: Per quanto riguarda il tuo percorso, l’essere rimasto coerente con te stesso ti ha comunque portato dei risultati. Sei diventato il cantante dei Rhapsody of Fire.
GV: Sì, questa sicuramente è la cosa più importante e sono molto contento perché abbiamo potuto dare un segnale forte, le recensioni che abbiamo ricevuto per il nuovo disco [The Eight Mountain, uscito il 22 Febbraio 2019 ndr] sono molto belle, sono tutti brani inediti. Anche il tour è andato bene. Questo è ciò che dovrebbe essere la musica, secondo me. Forse l’ambiente del metal è uno dei pochi ad essere rimasto ancora molto vero. Io sono stato molto fortunato, perché il nome Rhapsody è conosciuto nel mondo già da vent’anni, per cui c’era già un alto livello di attenzione nei confronti della band e di curiosità, ricca di aspettative, per il cambio di cantante. Il nuovo disco era proprio quello in cui i nodi sarebbero venuti al pettine, ma abbiamo ottenuto ottimi risultati, quindi siamo contenti.
FR: Sicuramente sostituire una grande voce come quella di Fabio Lione non era cosa facile. Pensiamo a Blaze Bayley, quando si trovò a sostituire Bruce Dickinson negli Iron Maiden. Il problema, in questi casi, non è tanto il cambio di ugola, ma proprio l’impostazione che un frontman da alla band e questo ha rilevanza soprattutto negli album d’inediti. Direi che a te è andata decisamente meglio che a Bayley, visti i buoni risultati di ‘The Eight Mountain’.
GV: Sì, beh, poi si sa che “ogni scarrafone è bello a mamma soja”, no? [ride] Io sono molto contento dei pezzi che sono stati cuciti per la mia voce e posso dire di essere molto orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto e delle review che abbiamo ricevuto.
FR: Andando a riascoltare anche i vecchi brani dei Rhapsody, interpretati da te, si può dire che la scelta da parte di Staropoli e soci, di credere in te, sia stata sicuramente azzeccata. Anche se ci saranno sempre i fan che non apprezzano i cambiamenti.
GV: Sicuramente il fan, inteso come fanatico, quello integralista, che ama a tal punto una voce da non poter ammettere di gradire un cambiamento, potrà al massimo apprezzare il nuovo lavoro svolto, continuando a preferire quello vecchio. Finché viene riconosciuto che una cosa è fatta bene, e si è consapevoli di averla fatta al massimo dei propri sforzi, del giudizio soggettivo si può solo prendere atto. Non posso pensare di convincere tutti.
FR: C’è sempre quella fetta di pubblico che è poco incline al cambiamento, ma proprio in generale, che sia di line up o di stile. Quando una band intraprende una strada diversa, c’è sempre chi storce il naso.
GV: Infatti; la cosa bella è stato notare che alla maggioranza degli ascoltatori, il disco è sembrato in linea con quel passato che questo nome rappresenta. Hanno notato, inoltre, che dal vivo i brani si adattano perfettamente al repertorio storico. Nell’ultimo tour ne abbiamo inseriti in scaletta ben sette, del nuovo disco.
FR: Che progetti hai per il futuro?
GV: Farò altre date con i Rhapsody of Fire, andremo in Giappone i primi di Giugno. Suoneremo a Tokyo e Osaka. Mi sto preparando per cantare uno dei nostri singoli in giapponese.
FR: Addirittura!
GV: Sì, anche la ballata ‘The Wind, The Rain and The Moon’ l’ho cantata in quattro lingue, proprio durante il tour.
FR: Anche in Giappone hanno una buona cultura per il metal.
GV: Sì, loro amano il power metal e tutto il metal in generale.
FR: Comunque davvero un bel traguardo, il Giappone. Ma qual è stata la scintilla che ha dato il via a tutto, facendo nascere in te la passione per il canto, in particolare per questo genere?
GV: Diciamo che è partito tutto dal mio amore per i Queen. Ho sempre avuto un approccio molto melodico al canto ed ho sempre apprezzato la musica classica e la lirica. Sentire il rock fuso con tanta sinfonia e melodia è stato ciò che mi ha fatto appassionare così tanto a questo mondo. Altre band di cui amo molto proprio le melodie sono gli Aerosmith, i Toto, oppure Bryan Adams. Ascoltare questi artisti, da bambino, è ciò che mi ha stimolato. Con la prima garage band ci buttammo subito sui Queen; si comincia da ciò che si ama.
FR: Non proprio un inizio in discesa, i Queen non sono certo facili da cantare.
GV: No, infatti. All’inizio mi sono scontrato anch’io, come molti cantanti che si approcciano ai Queen, con quelle che sono le difficoltà nel cantare i pezzi di Freddie Mercury, che richiedono delle buone impostazioni di base per via delle complessità tecniche. Così ho incominciato il mio percorso di studio, nel quale ho imparato a cantare vari stili, con diversi insegnanti ed è stato a quel punto che sono passato al metal. Il power metal e l’heavy metal classico sono dei generi comunque melodici, per cui, come stili vocali, si avvicinavano molto all’hard rock che cantavo io. La mia avventura è nata così e continua così. Recentemente ho messo su una sorta di tributo dedicato ai Queen, in acustico. Mi piace anche suonare il pianoforte e la chitarra, con i quali mi accompagno ed è sempre emozionante, perché i Queen sono i Queen!
FR: Tu sei anche un insegnante e ci hai parlato più volte di tecnica. Quanto conta lo studio del canto, nella carriera di un artista?
GV: Sì, insegno, ma il mio studio continua di pari passo, perché non mi piace fermarmi e perché accontentarsi, in qualsiasi ambito, non porta a crescere. Quindi personalmente continuo perché è proprio la voce ad affascinarmi, in tutte le sue forme, in tutte le sue lingue, in tutti i suoi generi musicali. Sull’importanza della tecnica, sicuramente bisogna sempre considerare quanto si basa sulla macchina che la natura ci ha fornito e quanto si basa sullo studio. Nel mio caso credo che sia un’unione di entrambe le cose, perché non basta il talento, ma ci vogliono anche tanta dedizione e volontà. In alcuni casi, l’impegno può compensare una carenza di talento, mentre il solo talento, senza l’impegno, raramente porta lontano. Se si ha del talento, ma non lo si sfrutta adagiandocisi sopra, non si cresce.
FR: Oppure ci si ritrova a cinquant’anni senza un filo di voce. Una chitarra usurata si può sostituire, delle corde vocali rovinate, perché usate male, no.
GV: È un discorso lungo, sicuramente la spontaneità paga, ma deve anche essere recepita come tale. Io cerco di fare il mio mestiere serenamente e voglio essere sicuro di poterlo fare ogni giorno allo stesso modo e questo comporta delle regole. Oggi, il live è rimasto l’unico momento nel quale si può rivelare ciò che si è, perciò è importante curare la propria voce. L’esperienza ci insegna che la vita da rock star spesso porta, a lungo andare, a non poter più mantenere gli stessi standard vocali di una volta. Personalmente, vorrei cercare di durare il più a lungo possibile negli anni, quindi studiare e trattarmi bene sono cose molto importanti. Naturalmente senza impazzire. In questa fase mi sento anche abbastanza libero, sto iniziando a divertirmi, perché dopo tanti anni di studio la tecnica comincia a venire naturale.
FR: Hai acquisito ormai la tecnica e quindi risulti naturale e spontaneo.
GV: Esatto.
FR: Grazie mille Giacomo e in bocca al lupo per tutto.
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