You Can Dream It In Reverse, nove brani per un totale di 47 minuti, inizia con la suggestione di una luminosa irrequietezza da fine dell’estate, per inoltrarsi tra ombre e inquietudini, nelle contraddizioni che oggi rendono di nuovo tutto insicuro. In un momento in cui i margini si confondono, cerca di ritrovare le fila di quel raccoglimento originario attorno ad un suono tramite cui riconoscersi e ricostruirsi. Dove tutto ha avuto inizio.
Registrato tra marzo e ottobre del 2019 al VDSS Studio (come i due precedenti “Springtime” e “One Day We Drove Out of Town’), You Can Dream It In Reverse affida il racconto ad una presenza di riverberi e echo sixties, arpeggi puliti e distorsioni a volte oblique, frutto della collaborazione con Filippo Strang che ne ha curato riprese, missaggio e mastering. In sottofondo di tanto in tanto, si muovono interferenze, nastri sporchi e registrazioni ambientali lo-fi, alludendo volutamente a quei demo registrati nelle proprie camerette, pieni di spettrali disturbi delle cassette a nastro magnetico, usate e riusate, che erano anche l’eco delle inquietudini che molto spesso custodivano.
I Black Tail nascono nell’ottobre 2012, dall’altra parte dell’oceano, nei boschi fuori Boston, dove Cristiano Pizzuti si trova temporaneamente. Tornato a casa, il progetto continua a preservare un carattere sospeso tra un’americana slack e dimessa, la dimensione defilata della provincia, l’indole ritrosamente boschiva dell’alt folk. Oltre ai Wilco, l’uggiosità di Sparklehorse, il jangle pop dei Teenage Fanclub, l’incedere sbilenco delle ballate (Malkmus, Breeders, Quasi), oltre insomma alla tradizione indie storica, il suono si arricchisce di una sfumatura che richiama più da vicino War on Drugs, Kurt Vile, Big Thief, e Real Estate.
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