Liverache Corporation: recensione di Discomfort

Liverache Corporation

Discomfort

Michele Perla, MAD

15 Maggio 2020

genere: stoner, punk/hardcore, alternative metal, alternative rock, sludge, post hardcore

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Recensione a cura di Marco Milo

Il nostro bel paese è rinomato nel panorama musicale su di tutto per le melodiose voci dei suoi cantanti di
musica leggera e per i testi socialmente impegnati e semanticamente densi dei suoi cantautori.

Quando, però, ci si accosta al mondo del rock e del metal, e ancor di più alle sue derivazioni alternative, un po’ di scetticismo affiora negli occhi degli interlocutori. Quasi come se questi generi rimanessero sempre al di fuori
della nostrana indole musicale. Ma ne siamo così sicuri?

Se cerchiamo delle risposte, possiamo rivolgerci ai Liverache Corporation, heavy rock band di origini pugliesi (Foggia), e questi ci risponderanno con il loro album d’esordio Discomfort, prodotto da Michele Perla, alias
MAD, e uscito lo scorso 15 maggio 2020.

Nella sua prima volta davanti al pubblico discografico, il gruppo parla di sé e delle sue personalità multiple, qui non un disturbo d’identità, ma il virtuoso tentativo di creare un progetto cross-genere, il cui fine ultimo è la ricerca e l’acquisizione di un Io sonoro definito e assolutamente personale.

Il Malessere ha origine ereditaria dalle melodie stoner e proto doom dei Black Sabbath, che in maniera
schizofrenica vengono talvolta calate nelle sonorità fangose dello sludge metal e, talvolta, rinvigorite dalla rabbia generazionale tipicamente anni ’90 del mondo alternative e punk/hardcore. Da queste premesse prende origine un disco che vive di momenti ben definiti e ne possiamo individuare distintamente tre.

La prima fotografia che scattiamo di Discomfort riguarda quelle tracce dell’album dall’atmosfera prevalentemente stoner/doom ma squarciata talvolta da lampi di heavy metal. Skin Frame è, infatti, una danza macabra in cui il ritmo lento scandito dal basso distorto contrasta con la voce rabbiosa del punk/hardcore.

Per Losing Weight e The Storm Is In A Room, invece, sembra che Marco Placentino abbia chiesto in prestito la chitarra direttamente da Toni Iommi per costruire la tetra ossatura di accordi che
scorre lungo entrambi i pezzi. Definirei mastodontico l’incedere a passi grevi e profondi della batteria. Di gran gusto e assolutamente d’impatto i potenti stacchi che interrompono il flusso narrativo dei pezzi: sfido chiunque a non saltare sulla sedia in preda a un’irresistibile voglia di headbanging.

L’occulta Pearl è una breve transizione che fa da sottofondo a una sorta di seduta psicanalitica in cui la nostra mente regredirà fino a sprofondare nel corpo centrale del CD; qui troveremo tre brani di pregevole fattura.

La seconda fotografia si apre infatti con Faded Sun, rilasciato anche come singolo ad anticipare la release di Discomfort. Paradossalmente, il brano con cui i Liverache Corporation si presentano al mondo ha tonalità meno cupe e ansiogene di quanto abbiamo ascoltato e ascolteremo nel resto dell’LP.

A volte le cose semplici sono le migliori. E allora ecco a voi un Singolo (con la S maiuscola) tutto tirato e a metà tra alternative e heavy metal. La nota di merito se la aggiudica qui il cantante Riccardo De Padova, che nell’inferno ritmico circostante riscopre una melodia vocale più intima ma che si apre nella parte finale in un grido liberatorio che ci ricorda molto Serij Tankian dei System of a Down.

Con le successive Ashes e Pilgrimage to Chernobyl la nostra band pugliese mostra invece la sua forza d’inventiva nel creare dei pezzi in cui la strada non sembra mai battuta definitivamente, ma sempre pronta a sviare e ad aprire nuovi scenari. Nel primo caso assistiamo alla creazione e poi alla distruzione a colpi di possenti riff e rullate heavy di un angosciante ambience grunge anni ’90. Nel secondo caso, il viaggio, della durata di otto minuti, verso le terre radioattive ucraine giunge a destinazione senza risentire della sua lunghezza: il merito è della verità compositiva che rende il pezzo il migliore tra i dieci presentati e una vera e propria summa delle diverse correnti musicali che compongono il sound dei Liverache.

Tocchiamo la forsennata frenesia del punk-hardcore invece con Throw Me Out, Shark e Pigs With Ties: il minutaggio si restringe (nel caso delle prime due) e aumentano vertiginosamente i bpm con il ritmo scatenato della batteria che, al limite dell’isteria, si abbraccia con ritornelli “anthemici”, immaginati per
essere inneggiati in futuro dalle folle che gremiscono e scalciano nei palazzetti e negli stadi.

Menzione speciale per l’ultima traccia dell’album, caratterizzata da un’interpretazione altamente teatrale del frontman e da un assolo che si presta a vedere prolungata all’infinito la sua durata a conclusione di un sudatissimo
concerto. Pochi fronzoli, tutto di pancia: queste tre canzoni faranno deflagrare nuovamente l’impetuosa e rivoltosa voglia di libertà di fine anni ’80.

I Liverache Corporation sfruttano al meglio la loro prima occasione alla ribalta nel mondo della musica dei
grandi. Non si risparmiano di certo e ci regalano 39 minuti veramente intensi, in cui portano in scena tutto il loro repertorio, senza paura alcuna di risultare troppo eterogenei.

La loro forza risiede nel saper alchimizzare le disparate influenze musicali, asservendole a un unico imperativo categorico, ossia trovare la
propria identità sonora. É sicuramente un buon inizio che ci lascia tra le mani una certezza: i Liverache Corporation suonano come i Liverache Corporation.

Tracklist:

1. Sking Frame

2. Losing Weight

3. Pearl

4. Faded Sun

5. Ashes

6. Pilgrimage to Chernobyl

7. Throw Me Out

8. Sharks

9. The Storms Is in a Room

10. Pigs With Ties

Formazione:

Riccardo De Padova – Voce

Marco Placentino – Chitarra

Michele Perla – Basso

Andrea Giuseppe Petruccelli – Batteria

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