Rage
Afterlifelines
Steamhammer
29 marzo 2024
genere: speed-power metal, power-thrash metal, symphonic power metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Questo è l’anno del metal britannico. D’accordo, è anche zeppo di progetti solisti e di rumorosi comeback, ma il 2024 si è aperto con una raffica di metallo inglese che avrebbe steso chiunque e che ha bombardato con ordigni potenti il vecchio continente. Sarà allora il caso di guardarsi intorno e vedere come l’altra patria della fede, la Germania, si stia attrezzando per rispondere.
Con i Rage, band ormai storica e tradizionalmente capace di una contraerea che spazia dal metal più radiofonico fino al thrash più melodico, ben provvista anche sul fronte sinfonico, si va abbastanza sul sicuro: non posso dire di aver amato tutti i loro precedenti ventitré dischi, ma la qualità e le premesse per un massiccio contrattacco, con il freschissimo di pubblicazione Afterlifelines, c’erano tutte e non sono state disattese, anzi. Sono ancora tramortito e felice.
Certo, manco a dirlo, nulla di nuovo sotto il sole, ma se vi piace la buona musica, se amate la melodia mescolata con del sano e robusto headbanging, se cercate emozioni forti e la carica giusta nelle vostre cuffie, sappiate che troverete in Afterlifelines un disco quasi perfetto, ambizioso, tosto e adrenalinico.
Nessuna sorpresa dal fronte: la struttura dei brani è pressoché standard, col riffone che apre le danze, la strofa sorretta da una ritmica thrasheggiante nel sound, velocissima il più delle volte, bridge vario e spesso pesante e ritornello ipermelodico. Il tutto legato da sontuosi cambi di tempo, assoli semplici e ben amalgamati e reso vario e godibile da ricorso al palm muting, distorsioni pesanti e melodie ben articolate ed armonizzate.
La novità, se così si può chiamare, risiede nel packaging: si tratta di una composizione di ben 21 brani suddivisi in due album concepiti in modo differente, ma divinamente prodotti. Un primo che non concede tregua, muovendosi in territori mediamente perfino più pesanti rispetto a quello a cui i Rage ci hanno abituato. Un secondo, arrangiato con strumenti orchestrali, in cui emerge (anche questa non è una notizia) la versione più classicheggiante della band, senza quasi mai rinunciare alla potenza.
La sfida è nel timing, perché tenere desta l’attenzione dell’ascoltatore su una durata complessiva di quasi un’ora e mezza richiede creatività a profusione. I Rage riescono nell’impresa sfoderando tutto il proprio arsenale, a cavallo fra una base thrash e le più svariate melodie power metal, in un caleidoscopio impetuoso che rappresenta la summa, forse un po’ prolissa, ma meglio riuscita dell’intero repertorio.
Non delude l’impatto sonoro delle asce, tutto nelle mani di Jean Bormann: l’unica novità nella lineup, infatti, rispetto al pur discreto precedente Resurrection Day, è il passo indietro di Weber, ma il maglio sonoro scagliato dalle sei corde non ne risente, tutt’altro. Ce ne accorgiamo da subito, perché, dopo il preludio In The Beginning, la partenza è già ad alti ottani con la durissima e intensa End of Illusions, davvero il modo migliore per incollarmi le cuffie alle orecchie: riffing di prim’ordine, supportato dall’uso magistrale del doppio pedale, creando un effetto “mitragliatrice” che, lungo l’intera opera, si alterna deliziosamente con passaggi helloweeniani (Under a Black Crown) e con sentori Metallica sparsi un po’ ovunque tra le pieghe degli arrangiamenti, come in Dead Man’s Eyes.
Per assicurarsi una valida potenza di fuoco e una santabarbara pronta ad ogni evenienza, i Rage hanno trasformato il loro Afterlifelines in un campo minato disseminato di ferocia (penso al riffone di Mortal, ma anche a certe sonorità vagamente Pantera o Machine Head), cambi di scenario melodici e vocali di tutto rispetto (Toxic Waves, Justice Will Be Mine) e perfino assoli dalle scale più maideniane di quelle dei Maiden stessi (Waterwar).
Due dischi in uno, dicevamo, ma dalla filosofia simile, perché gli strumenti classici (piano e archi, talora percussioni), che si ergono a coprotagonisti nel cd numero due, arricchiscono di profondità la proposta sonora senza scalfire l’intensità del trio di Herne: provare con Cold Desire o Curse the Night (bellissima) per credere. Piuttosto, a voler spaccare il capello in quattro, mi viene da pensare che l’efficacia delle armonie sinfoniche sia un po’ altalenante: davvero azzeccata in One World, ad esempio, a mio avviso un po’ forzata in Root of Our Evil, fino a rasentare la perfezione nella stupenda e durissima It’s All Too Much.
Nella Maginot eretta dagli artificieri tedeschi trovano posto perfino una ballad di sapore folk (Dying to Live) e una pièce che, se fossimo nel 1989, sarebbe perfetta per un passaggio radiofonico (The Flood), finché, dopo la quasi-title track Lifelines (una suite di dieci minuti con tanti cambi di scenario sonoro e finale in crescendo), l’album sfuma con un outro quasi interamente unplugged, in cui l’ispirazione classica la fa da padrone. Una coda che, a mio gusto, avrebbe potuto essere evitata condensando le emozioni in tempi un po’ più ragionevoli, ma che nulla toglie al valore globale dell’opera.
Artiglieria molto pesante, quella messa in azione dai mitici Rage nel loro comeback; piacere puro per le orecchie dei vecchi metalhead e più che degna risposta all’offensiva britannica nell’unica guerra che ci piace: quella condotta a colpi di musica.
Tracklist:
LP 1: 01. In The Beginning. 02. End Of Illusions. 03. Under A Black Crown. 04. Afterlife. 05. Dead Man’s Eyes. 06. Mortal. 07. Toxic Waves. 08. Waterwar. 09. Justice Will be Mine. 10. Shadow World. 11. Life Among The Ruins
LP 2: 01. Cold Desire. 02. Root Of Our Evil. 03. Curse The Night. 04. One World. 05. It’s All Too Much. 06. Dying To Live. 07. The Flood. 08. Lifelines. 09. Interlude. 10. In The End
Membri della band:
Peter Wagner – voce, basso
Vassilios Maniatopoulos – batteria
Jean Bormann – chitarre
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