Steven Wilson: recensione di The Harmony Codex

Steven Wilson

The Harmony Codex

Virgin Music

29 settembre 2023

genere: psych prog, funk prog, elettronica ambient, sonorizzazioni, trip-hop, space prog, oriental jazz, atmospheric wave, cyber, cinematic, avant-rock

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di due anni dalla pubblicazione di The Future Bites e di Closure/Continuation (comeback discografico coi suoi Porcupine Tree), il compositore e produttore britannico Steven Wilson torna ad alimentare la sua fertile e visionaria sensibilità creativa direttamente dal suo studio casalingo nel nord di Londra, mandando alle stampe il nuovo album solista intitolato The Harmony Codex, edito per Virgin e anticipato dall’uscita dei singoli Impossibile Tightrope, Economies Of Scale e Rock Bottom, quest’ultimo in duetto con la cantante israeliana Ninet Tayeb.

Coinvolgendo musicisti del calibro di Jack Dangers dei Meat Beat Manifesto e Sam Fogarino degli Interpol, e rinnovando il sodalizio artistico con partner di lunga data come Ninet Tayeb, Craig Blundell e Adam Holzman, Steven Wilson ci guida all’interno di questa nuova esperienza multisensoriale, muovendosi con cura minuziosa tra strutture, forme e generi complementari, nel rispetto di un saliscendi emozionale in cui riflessioni malinconiche e intimità chiaroscurale si traducono in suggestive scenografie sonore e in atmosfere magiche che oscillano, si mescolano, si sovrappongono e cambiano di continuo, seguendo nient’altro che il perpetuo e imprevedibile flusso della vita.

Ed è proprio sull’orlo di fattori destabilizzanti come imprevedibilità e disordine che Steven Wilson continua ad affacciarsi e a rinnovare la sua egocentrica prospettiva artistica, assecondando quel fascino magnetico per la scoperta e assemblando melodie semplici e articolate all’interno di un vero e proprio mosaico avant-rock: da un lato, spaziando nell’ampiezza polifonica, futuristica e astratta di sequencer elettronici, sintetizzatori analogici, arpeggiators e organi Hammond, dall’altro, invece, ripiegando su sentieri calligrafici già definiti, dai Pink Floyd a David Sylvian, dai Nine Inch Nails ai Marillion fase Hogart, dai Genesis agli Everything But The Girl.

Bisogna ritornare sui passi già fatti – diceva José Saramago – per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio, sempre. Così, le dieci tracce di The Harmony Codex, affidandosi al dualismo tra essere umano e progresso tecnologico, e a quella corrispondenza armonica tra musica e immagine che rimanda alle opere di David Sylvian, riescono a trasformare la musica in metafora di un viaggio interiore e strumento propedeutico a catturare momenti in cui il tempo sembra cristallizzarsi, andando a catalizzare e restituire una serie infinita di suoni e sensazioni.

È questa, dunque, a grandi linee, l’inclinazione autorale di The Harmony Codex, dove contemplazione e memorie enigmatiche confluiscono in una cascata cromatica dalle sfumature raffinate e ricercate: si va dall’oriental jazz misto a darkwave depechemodiana di Inclination alla psichedelia ambient di Beautiful Scarecrow, dalle orchestralità celestiali e trip-hop bristoliano di Impossible Tightrope alle connessioni ritmiche di Economies Of Scale, tra malinconiche brezze acustiche, elettronica cyber-glitchata e space-prog convulsivo di matrice pinkfloydiana.

C’è spazio anche per la meditazione trance-onirica e pianistica della titletrack e per riverberazioni chitarristiche di evidente impronta gilmouriana in What Life Brings, passando attraverso power ballad mid-tempo in classico stile Stevie Nicks (Rock Bottom), fino a raggiungere tensioni gotiche e post-punk in Actual Brutal Facts e l’estemporanea e pulsante elettricità prog-funk di Staircase.

Verosimilmente, l’intento wilsoniano è quello di voler comprendere la propria energia interiore, attingendo dal bagaglio di conoscenze acquisite e spingendosi oltre l’ostacolo dei limiti personali, con l’obiettivo di creare un’affinità con le sollecitazioni esterne: una sorta di codice armonico universale in grado di colmare le distanze tra condizioni umorali apparentemente contrastanti.

Spesso ci lasciamo trascinare dalle forze che agiscono sui nostri piani inclinati, da quel continuo divenire che è la vita, come fosse una discesa perenne. Ogni tanto proviamo a reagire, a correggere certe traiettorie, certe debolezze, cercando di recuperare il controllo logico su quello irrazionale (“if you’ve got the time, then I’ve got the inclination”), sebbene rischio e paura rappresentino pendii emotivi su cui è facile scivolare e difficile evolversi.

“Il futuro è già passato, e non ce ne siamo neanche accorti”, questa l’amara conclusione di Vittorio Gassman, nei panni di Gianni Perego, nel finale del film C’eravamo Tanto Amati. Pertanto, come sembra suggerirci Steven Wilson con questo nuovo sigillo d’autore, non resta che abbandonarsi a ciò che la vita porta con sé in dote (“that’s what life brings, love it all and hold it in your hands”), abbracciandone ogni aspetto, conosciuto e meno conosciuto, e custodendo quel bene prezioso – l’unico veramente di cui disponiamo – nelle nostre mani, come acqua che dà la vita. Don’t lose hope, stay alive.

Tracklist:

1. Inclination 2. What Life Brings 3. Economies Of Scale 4. Impossible Tightrope 5. Rock Bottom 6. Beautiful Scarecrow 7. The Harmony Codex 8. Time Is Running Out 9. Actual Brutal Facts 10. Staircase

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