The Halo Effect
March Of The Unheard
Nuclear Blast
10 gennaio 2025
genere: melodic death metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Solo tre anni fa, anche meno, faceva il suo esordio il supergruppo The Halo Effect con l’album Days Of The Lost. Ricordo ancora adesso l’hype che lo circondava e le sensazioni contrastanti che mi trasmise: discreto entusiasmo, tanti rimpianti e un po’ di delusione per una chiave melodica un po’ ruffiana.
L’ho riascoltato di recente e confesso di averlo assimilato e compreso meglio: forse lo scopo di Stanne, insieme agli esodati dagli In Flames, era ritrovare le proprie radici e restituire loro nuova linfa, pur con quel tocco di effettistica e quei richiami al riffing swedish (poco o affatto death) tali da rendere il prodotto più fresco, moderno e fruibile. Not bad.
A questo punto non vedevo l’ora di cercare conferme, aprendo il 2025 con March Of The Unheard, la nuova creatura dei The Halo Effect, e devo dire che non mi sono pentito della scelta, anzi, fin dal primo ascolto sono rimasto colpito da alcuni dettagli caratterizzanti: il dominio delle tematiche intimiste tanto care a Stanne, un approccio tradizionale nel sound (con strutture e melodie ai limiti del commerciale, almeno per quelle latitudini) e la dote innata di saper trovare la strada che conduce al cuore dell’ascoltatore. Ma soprattutto c’è la netta divisione tra la bella titletrack nel ruolo di spartiacque e un “lato B” particolarmente ispirato sul piano compositivo, capace di dare respiro a una sessione ritmica che, nei primi brani, si limita al compitino e a sfornare un crescendo davvero sexy che alza il livello complessivo del disco.
Quello che ho tra le mani, anche dopo ripetuti ascolti, è un album bifronte, stupefacente, talmente ben riuscito che merita di essere esplorato nel dettaglio.
La traccia d’apertura Conspire To Deceive è quanto di più orecchiabile e catchy si possa immaginare, con un riffing e una struttura mutuati dal power metal scandinavo, dove spiccano la timbrica delle chitarre e il perfetto high-growl di Stanne. Con Detonate i Nostri ci riportano in territori più duri, tra palm muting e un ritornello più malinconico, mentre l’utilizzo dei synth conferisce un’atmosfera più densa alla composizione.
Sulla scia di Detonate si colloca Our Channel to The Darkness, stressando il concetto e alzando i ritmi. Cruel Perception ripristina invece la supremazia melodica, avvicinando i The Halo Effect a una versione più moderna e soprattutto più commerciale degli In Flames del tempo che fu: quelli, per intenderci, che vanno da The Jester Race fino a Colony.
Il tutto nel solco della continuità concettuale e qualitativa di Days Of The Lost. E non è affatto una critica, bensì semplice nostalgia canaglia. Questa percezione è addirittura amplificata dall’ascolto di What We Become e spinta al parossismo nella splendida March Of The Unheard (preceduta dal preludio This Curse Of Silence), dove la Gothenburg old-school fa ancora accademia, tra voluttuosi breakdown e accelerazioni.
Da qui in poi, anziché insistere sul “bello, bellissimo, ma già sentito”, i The Halo Effect scelgono di dar vita a una sorta di lato B in cui ampie e intriganti variazioni sullo spartito irrobustiscono la proposta musicale, rivitalizzando l’attenzione dell’ascoltatore. A partire da Forever Astray, che si sviluppa su un controtempo e in cui fa capolino per la prima la voce pulita di Stanne, passando per la meravigliosa Between Directions, dove il palm muting e una melodica orchestrazione d’archi si fondono alla perfezione: un episodio che da solo varrebbe l’acquisto del disco.
A questo punto era difficile aspettarsi qualcosa di meglio, per cui ben venga la sterzata imposta da A Death That Becomes Us, un frame di stampo prettamente power in cui chitarra e voce fraseggiano e si sovrappongono in modo agile, mentre un bridge puramente dark aggiunge fascino ulteriore al carisma già straripante di Mikael Stanne.
Torna a prevalere la componente aggressiva in The Burning Point, dove al riffing di sana (e lampante) matrice In Flames fa da contrappunto il filling di Svensson dietro le pelli, rendendo mirabile quell’equilibrio tra melodia e potenza che regna lungo tutto il percorso d’ascolto. L’opera, infine, si scioglie e sfuma in Coda, chiosa unplugged in cui gli archi tornano protagonisti, attraverso una riproposizione trasognata della melodia della titletrack.
E adesso? Valeva dunque la pena di regalarmi questo lungo tuffo nel passato? Perché il punto sta tutto qui. Poche formazioni hanno diviso critica e fan come i The Halo Effect, e l’oggetto del contenere è quasi sempre lo stesso: ha ancora senso rincorrere la nostalgia? Aspettate a rispondere: prima di schierarvi, ricordatevi che stiamo parlando solo di uno dei tanti progetti di Mikael Stanne.
E lui, come un instancabile “Santa Claus quattro stagioni”, sta portando doni a tutti noi: per chi fosse in cerca di sonorità più leggere e gotiche, hanno da poco esordito i Cemetery Skyline. Per gli amanti della progressiva contaminazione restano vivissimi i Dark Tranquillity. Ma se volete qualcosa che sappia offrire la nostalgia su un piatto d’argento agli orfani del Gothenburg sound, è sui The Halo Effect che dovete puntare. E io, sinceramente, vi consiglio di farlo: non ve ne stancherete.
Tracklist:
1. Conspire To Deceive 2. Detonate 3. Our Channel To The Darkness 4.Cruel Perception 5. What We Become 6. This Curse Of Silence 7. March Of The Unheard 8. Forever Astray 9. Between Directions 10. A Death That Becomes Us 11. The Burning Point 12. Coda
Lineup:
Niclas Engelin: chitarra
Mikael Stanne: voce
Peter Iwers: basso
Daniel Svensson: batteria
Jesper Strömblad: chitarra
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