Vesta: recensione di Odissey

Vesta

Odissey

Argonauta Records

16 ottobre 2020

genere: atmospheric metal, post-rock, instrumental metal, psych, math rock

_______________

Recensione a cura di Andrea Musumeci

Secondo il movimento raeliano, gli elohim sono degli extraterrestri scientificamente avanzati che hanno dato origine alla vita sulla Terra attraverso l’ingegneria genetica.

Umanoidi provenienti da un altro mondo, da un’altra dimensione, così come la nuova opera dei Vesta, collettivo viareggino che dà continuità alla propria “odissea creativa” mandando alle stampe il secondo capitolo discografico dal titolo Odissey, edito per Argonauta Records lo scorso 16 ottobre ed anticipato dall’uscita del video di Elohim.

Da un’opportuna combinazione simbiotica tra reminescenze post-rock, suggestioni atmospheric metal e psichedelia math rock di matrice Tool, nasce Odissey, un composto alchemico omogeneo con il quale il tridente toscano conferma la sua indole compositiva (completamente strumentale) nel saper maneggiare, modellare e scolpire quel genere di materia sonica.

Alimentando la densità psichedelica degli esordi (nel 2017 il debut album omonimo) e soffiando sul fuoco sciamanico-blues custodito nel tempio della dea Vesta, le otto tracce di Odissey si muovono intorno ad una spirale climatica emotiva, mistica, algoritmica e cervellotica, come una sonda spaziale lanciata oltre la troposfera e la stratosfera che va ad orbitare intorno alle derive gravitazionali industrial groove e sludge di Giove.

Le particelle sonore della release vanno ad incanalarsi all’interno di un tunnel spazio temporale tridimensionale (così come raffigurato nell’artwork), dove sfumature e riflessi di risonanza quasi dronica si aprono ad una ripetizione in loop parossistica, circumnavigando la planimetria rocciosa del pianeta rosso stoner.

Le costruzioni algebriche, eclettiche e visionarie di Odissey tratteggiano navigazioni interstellari percussive, tribali e claustrofobiche, pennellando traiettorie funamboliche e geometriche fatte di suoni oscuri e riff corposi e granitici, esaltando in questo modo una volumetria heavy rock (di parte ritmica e solista) spirituale, magmatica, distorta, riflessiva, matura e vibrante.

Odissey è, dunque, l’essenza del viaggio come metafora di vita, in quanto rappresentazione simbolica del cammino dell’uomo ulissiano: un tragitto circolare dal forte immaginario visuale kubrickiano, scandito da supernove soniche monolitiche, dove atmosfere space prog e cambi di tempo rincorrono, come lontani canti di sirene, nebulose, costellazioni, aurore boreali ed il sempre più difficile equilibrio tra caos e ordine.

Quello dei Vesta è un racconto ciclico dal sound asteroidale ipnotico e dalle forme angolari, irregolari e dilatate, che se da una parte mescola passato e presente dall’altra contestualizza il futuro come incognita dei tempi moderni, intrecciando la fede con la scienza, l’orrore con la bellezza, l’amore con l’odio, il bene con il male, finendo con il riportare ogni elemento ad un nuovo punto di partenza.

Membri della band:

Giacomo Cerri: chitarra, synth Moog

Lorenzo Iannazzone: basso

Sandro Marchi: batteria

Tracklist:

1. Elohim

2. Tumae

3. Breach

4. Juno

5. Borealis

6. Temple

7. Supernova

8. Cerere

© 2020 – 2021, Fotografie ROCK. All rights reserved.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.