Dark Angel
Extinction Level Event
Reversed Records
5 settembre 2025
genere: thrash metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese

Si è appena consumato un delitto: i Dark Angel, la band di culto del thrash d’oltreoceano autrice di capolavori come Darkness Descends, è tornata in studio, ne è uscita con un comeback e ben pochi ne hanno parlato, se non per liquidarlo come un flop. I colpevoli siamo tutti noi, a partire dal sottoscritto, che si è arenato dopo pochi minuti per poi dedicarsi ad altro materiale.
Cosparsomi il capo di cenere, memore di chi cazzo sia Gene Hoglan e della sua prece rivolta al pubblico (“vi chiedo solo di ascoltarlo”), ho deciso pertanto di fare ammenda e dedicarmi a questo Extinction Level Event, quinto album dei Dark Angel e ritorno sulla scena dopo più di un trentennio.
Confesso di aver dovuto superare uno scoglio grande quanto quello che, tempo addietro, mi impedì di leggere l’Ulisse di Joyce o I Demoni di Dostoevskij: il linguaggio sonoro mi è risultato altrettanto ostico, ma alla fine sono riuscito a cavare il classico sangue dalle rape. Era doveroso: qualunque metalhead abbia la presunzione di scrivere della propria musica del cuore non può far finta che i Dark Angel siano ancora fermi a Time Does Not Heal.
Intanto, partiamo dalla confezione: sì, la cover è evidentemente prodotto dell’intelligenza artificiale. Sticazzi? Ovvio che io preferisca il lavoro di artisti che meriterebbero di esporre agli Uffizi, ma quando mai noi metallari abbiamo sputato sopra a un disco perché ci sono pochi soldi per impacchettarlo? Abbiamo forse dimenticato quando sognavamo una demo da registrare in garage, con il primo quattro piste in circolazione, per inviarla a qualche rivista? O certe cagate di copertine disegnate a mano da quell’unico amico che non avesse 4 in educazione artistica? L’immagine rende l’idea del contenuto musicale e me lo faccio bastare.
Poi però c’è il sound, e qua si passa a cose più serie, perché, per carità, se devi autoprodurlo con i mezzi che hai, ti concedo le attenuanti del caso, ma qui si impasta un po’ tutto e il rischio di un polpettone indigesto è davvero dietro l’angolo. Si poteva fare meglio? Non saprei, ma certo non è facile da digerire per chi ha orecchie datate e magari trent’anni fa manco ci faceva troppo caso ma, con l’età, comincia a diventare difficile e permaloso.
Per me il lavoro di consolle e mixer fa il 40% del piacere dell’ascolto: non amo la produzione cristallina applicata al thrash metal, ma qui la definizione è davvero ardua. Va benissimo scegliere una certa accordatura e potenziare i bassi per rendere il sound cupo e coerente con i testi, ma qui si rasenta l’appiattimento. Anche la voce di Rinehart non aiuta, soprattutto in alcuni passaggi dove avrebbe richiesto uno spettro sonoro un po’ più ampio. Ma insomma, cerchiamo di andare oltre.
L’altra parete da scalare me la sono ritrovata davanti con il brano di apertura, alias titletrack, e con il successivo Circular Firing Squad (una cosa va detta: a questo disco va la palma dei titoli più originali e ricercati dell’anno). Ron Rinehart avrebbe bisogno di lavorare un po’ sul growl, Laura Christine su assoli che non siano un mero susseguirsi di tapping ad mentula canis e uso un po’ a casaccio della leva del tremolo; anche Eric Meyer avrebbe potuto cercare un riffing meno banale e, insomma, l’unica cosa che funziona è la fluidità con cui Gene sa conferire tempo, senso e groove anche a brani così mediocri, con la naturalezza con cui io mi scolerei una birra a Ferragosto: impressionante.
Dopo tanta delusione, come un lampo di luce accecante ecco Woke Up to Blood, una bomba inattesa che dà quattro punti e una scopa ai primi brani: intro e crescendo di spessore, finalmente un riff ben elaborato e legato a un assolo semplice e veloce, ma coerente con tutto il resto; la voce raggiunge profondità maggiori e i cori rendono il tutto più angosciante, per una piece che ha il sapore del riscatto. Ma non faccio in tempo a godermelo che Apex Predator mi getta nel più nero sconforto: un episodio incentrato su un riff banale e ripetuto in modo ossessivo, dopo il quale ho gettato le cuffie e ho dovuto aspettare due mesi prima di fare un altro tentativo di ascolto. Svolto il compitino con il mid-tempo di Sea Of Heads, ormai sono già pronto a gettare la croce su Gene & Co., e invece qui si apre il B-side che non ti aspetti.
Atavistic accelera brutalmente, restituendo mordente e attenzione all’ascolto: è come cavalcare un fulmine. I due assoli consecutivi suonano sempre un po’ non sense, ma sembrano casualmente incastrarsi bene nel contesto, e finalmente posso liberare un po’ di headbanging. E, se Scalar Weaponry sembra di nuovo troncare entusiasmi e speranze apparendo confusionaria, ordinaria e slegata, scopro invece con piacere che si tratta solo di una parentesi, perché il finale è gradevole, a partire dall’arrembante Scarface The Room, passando per lo slow decadente e nichilista di E Plurimus Nemo e la più immediata e trascinante Terror Construct (ma di nuovo, davvero: perché non “ripulire” un po’ gli arrangiamenti e lasciar perdere certi scarabocchi di assolo?).
La chiusura di Extinction Level Event è riservata all’episodio più bello in assoluto: Extraction Tactics è una macchina da guerra che spiana tutto, trova finalmente le giuste armonie, un riffing trascinante e una buona linea melodica.
E così viene degnamente chiusa la discreta demo d’esordio di questa garage band che, chissà, maturando un po’, potrebbe perfino tirar fuori qualcosa di buono e lasciarsi alle spalle quel quattro piste. Ah, no, scusate: stiamo parlando dell’attesissimo comeback dei Dark Angel, band di culto del thrash metal.
Beh, allora non mi bastano due brani buoni e qualche altra sufficienza per salvare un prodotto di cui, davvero, potrete comodamente fare a meno. Sarà per la prossima volta, Gene: a te si perdona questo e altro.
Tracklist:
1. Extinction Level Event. 2. Circular Firing Squad. 3. Woke Up to Blood. 4. Apex Predator. 5. Sea of Heads. 6. Atavistic. 7. Scalar Weaponry. 8. Scarface the Room. 9. E Pluribus Nemo. 10. Terror Construct. 11. Extraction Tactics.
Lineup:
Eric Meyer – chitarra
Gene Hoglan – batteria
Ron Rinehart – voce
Mike Gonzalez – basso
Laura Christine – chitarra

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