Slash feat. Myles Kennedy and The Conspirators: recensione di 4

Slash feat. Myles Kennedy and The Conspirators

4

Gibson Records

11 febbraio 2022

genere: blues, AOR, power ballad, hard & heavy

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di quattro anni dal precedente Living The Dream e anticipato dall’uscita del singolo The River Is Rising, Slash manda alle stampe il suo quarto album in studio intitolato 4 (il suo quinto da solista), inciso nuovamente insieme alla combo Myles Kennedy and The Conspirators e prodotto da Dave Cobb nel quartier generale di Nashville.

Sebbene si sia riunito con i Guns N’ Roses nel 2016, il chitarrista anglo-americano Slash ha continuato a portare avanti i suoi progetti paralleli, con la solita classe, esperienza e professionalità, forte di quella stella che brilla sull’Hollywood Boulevard e del suono unico della sua Gibson Les Paul con la quale ha sfornato alcuni fra i più bei riff di chitarra della storia del rock, rinnovando quel sodalizio artistico nato nel 2010 con Myles Kennedy, già frontman e chitarrista degli Alter Bridge, che proprio lo scorso anno ha rilasciato il suo secondo lavoro da solista The Ides Of March.

Conservando quell’inconfondibile tocco, al tempo stesso sporco e melodico, che ne ha contraddistinto la sua riconoscibile natura stilistica nel corso di una carriera pluritrentennale, Slash (pseudonimo di Saul Hudson) ha presentato così, in sintesi, la sua ennesima avventura discografica: “Ci sono due o tre canzoni nel disco che sono state scritte durante la pandemia; tutto il resto è stato scritto prima, on the road, durante il Living The Dream Tour, mentre le registrazioni sono state effettuate quasi tutte in presa diretta, in soli cinque giorni”.

Un affiatamento che la premiata ditta Slash feat. Myles Kennedy and The Conspirators (con Todd Kerns al basso e Brent Fitz alla batteria) riesce a trasmettere all’interno delle dieci tracce che compongono la release 4, ripercorrendo, con freschezza, solidità, energia, equilibrio armonico e soprattutto tanto sentimento, i profondi e stravissuti solchi dello spartito classico dell’hard rock, dimostrando di avere ancora una buona riserva di cartucce da utilizzare.

Un vero e proprio atto di fede, da parte di Slash, nei confronti di un genere musicale ormai in menopausa, che oggigiorno (ma sarebbe più corretto dire, ormai da diverso tempo) è relegato a un gradimento non più mainstream, spesso confinato nella retromania del cuore e collocato, nel migliore dei casi, nelle parti più basse delle charts internazionali.

Siamo al cospetto di una nostalgica e appassionata retrospettiva del periodo d’oro della musica rock, un nuovo tuffo nel passato che ha come obiettivo quello di preservare lo scambio osmotico tra passato e presente, seguendo la bussola amplificata del revival e abbracciando l’epicità degli interpreti che piantarono la bandiera del classic rock, rievocando quell’ampio range di sonorità e atmosfere che per molti hanno rappresentato la colonna sonora della propria adolescenza, quando, appunto, il rock era ancora un genere popolare nella cultura di massa e riempiva le arene di tutto il mondo.

Con la realizzazione di 4, Slash ha voluto rendere omaggio all’accademia di quei guitar hero a cui si è verosimilmente ispirato, tra cui Glenn Frey, Don Felder, Joe Walsh, Jimmy Page, Joe Perry, Eddie Van Halen (per citarne alcuni), ma rimanendo comunque leale a quello che è il suo paradigma identitario e scritturale, alternando le sue famose e famigerate scale pentatoniche a quella onnipresente radice blues, quando sodomizzata a velocità supersonica, quando scandita lentamente e amabilmente, accarezzando quelle corde in punta di plettro, come fosse una volée di John McEnroe.

Eh sì, perché la vera protagonista di quest’album è proprio la Gibson Les Paul, grazie alla quale Slash sfoggia tutto il suo funambolismo ed eclettismo strumentale, in un fiume in piena di riff e assoli fatti di acciaio cromato e miele, tra sgroppate hard rock, tapping e cascate di note acrobatiche, che il musicista statunitense riesce a coniugare a ballate intimiste e sognanti, bilanciando ricercatezza e orecchiabilità.

Troviamo, dunque, riferimenti al sound di Rocket Queen dei Guns in Whatever Gets You By, ai Led Zeppelin nel solo del singolo The River Is Rising, ai fraseggi alla Aerosmith in April Fool, alle tonalità arabeggianti alla Jerry Cantrell nel brano Spirit Love, passando dalle esuberanti svisate blues di Actions Speak Louder Than Words allo street punk di Call Off The Dogs, mentre gli echi di Don’t Stop Believing dei Journey si mescolano al sound easy listening dei Van Halen in Fill My World, fino a sfiorare il virtuosismo solistico degli Eagles di Hotel California nella traccia finale Fall Back To Earth.

L’orientamento testuale dell’opera, prettamente a cura di Myles Kennedy, ruota intorno alla sfera emotiva degli esseri umani: dal rapporto con se stessi e con l’ambiente circostante a quella amara presa di coscienza tra fantasia e realtà. Contenuti che raccontano storie di violenze domestiche, di scelte sbagliate, di ambizioni che troppo spesso sposano le corsie preferenziali del compromesso, e del sacrificio di quei sentieri meno battuti che sfidano, invece, il conformismo e le convenzioni sociali. Storie di individui perennemente alla ricerca di quell’amore idealizzato e poetico, che riempie la vacuità delle nostre esistenze, quando sottoforma di spirito guida esoterico, quando in veste di conforto confidenziale, come parte essenziale di una nostra incompletezza genetica. E forse è proprio questa la missione spirituale della musica: quella di accompagnarci nelle varie fasi della nostra crescita, tra le cadute e le risalite, alleviando le ferite delle promesse tradite.

Nonostante, a volte, i confronti con il passato siano davvero impietosi, come si può rinnegare, di punto in bianco, un tipo di musica che ci ha fatto sognare? Talvolta, ci sfugge quello che è il filo conduttore, fondamentale e semplice, che tutt’oggi lega (dovrebbe legare) musicisti e fan, ovvero la passione, quella genuina, che va oltre ogni tipo di logica commerciale, temporale, virale e di comodo.

Insomma, se amate Slash e Myles Kennedy, al netto di aspettative eccessivamente esagerate rispetto al passato ed evitando di cascare nei tranelli dello sloganesimo moderno, allora è ancora possibile guardare al rock come un elisir di lunga vita, come un fedele compagno di viaggio, come quell’amico del cuore che è invecchiato insieme a noi e che è sempre stato lì, pronto a rialzarci, anche quando la forza di gravità ci ha riportato sulla terra, facendoci sbattere la faccia.

Membri della band:

Slash – lead guitar, talkbox
Myles Kennedy – lead vocals
Todd Kerns – bass guitar, backing vocals
Brent Fitz – drums, percussion
Frank Sidoris – rhythm guitar

Tracklist:

1. The River Is Rising
2. Whatever Gets You By
3. C’est La Vie
4. The Path Less Followed
5. Actions Speak Louder Than Words
6. Spirit Love
7. Fill My World
8. April Fool
9. Call off the Dogs
10. Fall Back to Earth

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